Le questioni economico-finanziario-politiche che hanno tenuto banco in Italia e sull’Italia negli ultimi mesi e trimestri sono come noto due. La prima è la crisi bancaria successiva al fallimento delle quattro banche locali e alla necessità di salvare le banche con deficit patrimoniali senza distruggere la fiducia dei risparmiatori e del mercato; la seconda è il referendum sulle riforme istituzionali da cui dipenderebbe il destino del governo e a cui sarebbe legata la fiducia dei “mercati” sulla volontà italiana di fare le riforme.



Queste due questioni hanno inciso pesantemente sulla Borsa italiana, la peggiore al mondo nel 2016, e creato un clima che certamente non ha fatto bene all’economia italiana. Da ieri sappiamo che, almeno secondo il responsabile dei rating sovrani di Standard & Poor’s, queste vicende sono sostanzialmente due “non questioni”.



In un’intervista concessa alla Reuters, infatti, Moritz Kraemer ha fatto fare la figura degli stupidi a mezzo mondo dicendo che: “in termini di rating sovrano dell’Italia un bail-out delle banche sarebbe incrementale. Lo Stato ha già un debito di 2.000 miliardi e non sarà questo a far affondare la barca”. Aggiungendo: “Non credo che ciò sia sufficiente per fare la differenza (sul rating)”. Sul referendum invece, da cui dipenderebbero secondo molti le sorti del Paese soprattutto in caso di vittoria del No, Kraemer si è espresso in questi termini: “(gli italiani) non stanno decidendo se cambiare tutto. Nel peggiore dei casi vanno avanti con quello che già c’è, e non è neanche una cosa irreversibile”. Più che intricate previsioni, queste affermazioni sembrano caratterizzate da grandissimo buon senso.



Partiamo dalla prima. In un mondo in cui i debiti sovrani esplodono senza che nessuno se ne curi perché, anzi, i rendimenti continuano a scendere raggiungendo livelli mai visti, aggiungere 20 miliardi, l’1% del debito italiano, non cambia la sostanza; in compenso, aggiungiamo noi, si evitano nove mesi di sofferenza borsistica, un danno di immagine infinito e ripercussioni gravi sulla fiducia nel e sul sistema. Se ad autunno del 2015 l’Italia avesse fatto il bail-out spendendo 20 miliardi di euro, il rendimento del decennale italiano, la prova provata è quanto successo in Spagna, oggi sarebbe almeno identico, ma in compenso la situazione economico-finanziaria italiana sarebbe molto migliore; si potrebbe tranquillamente dire che con il salvataggio delle banche fatto oggi l’Italia sarebbe al posto della Spagna nella classifica con un rendimento inferiore.

Che lo dica il responsabile dei rating sovrani di una primaria agenzia di rating è una certificazione della malafede europea che ha voluto ancora una volta colpire l’Italia e di chi ancora in queste settimane ha incredibilmente sostenuto che il salvataggio delle banche fatto per tempo avrebbe influito negativamente sul debito italiano.

La stessa cosa vale per il referendum. Presentarlo come la panacea di tutti i mali in un Paese dove il pareggio di bilancio è stato inserito nella Costituzione senza discussione in qualche mese, consegnando la sovranità italiana alla Germania, è un’enormità. Soprattutto se uno dei problemi principali per la crescita, l’Europa tedesca e la sua politica economica, non può essere cambiato. La riforma delle popolari, o quella delle pensioni, o il Jobs Act che hanno cambiato consuetudini e istituzioni vecchie di decenni, sono avvenute negli ultimi mesi senza particolari problemi o opposizioni e in un’ipotetica lista di cose da fare ci sarebbero palesemente molte altre priorità. Possiamo anche convincerci che un uomo solo al comando che può fare e disfare con una catena di trasmissione cortissima sia la soluzione per fare le riforme, tralasciando ogni rischio, ma non possiamo usare questi argomenti per sfidare il “buon senso” di chi i rating li emette per davvero.

Non crediamo che la soluzione alla questione bancaria non sia stata trovata a causa del Senato o di qualche parlamentare che voleva il male dell’Italia. Il buon senso che sembra perso si può trovare nelle dichiarazioni di un analista di Standard & Poor’s che in tre righe spazza via metà della letteratura interessata sull’Italia e i suoi problemi.