Sarebbe davvero ingeneroso addebitare al governo Renzi la frenata del Pil nel secondo trimestre del 2016 certificata ieri dall’Istat. Sarebbe ingeneroso così come fu, a dir poco, ingenuo accreditare alle misure renziane la ripresina del 2015, esercizio peraltro sfoggiato oltre ogni prudenza dal protagonista di quelle misure per arrogarsi meriti non suoi a fini elettorali. La verità è che l’Italia è una pedina piccola e smarrita in un quadro di confusione economica planetaria senza precedenti. Un Paese fermo, sostanzialmente privo di una piena sovranità economica vista la fortissima “devolution” di poteri che ha scientemente e autolesionisticamente fatto a vantaggio di un’Unione europea dove detta legge il nostro principale competitor industriale, la Germania, e oppresso da una cappa di pessimismo che le fanfare filogovernative non riescono minimamente a dissipare.
A rifletterci un attimo, la peggior notizia si desume dall’incrocio tra i dati del Pil, quelli della produzione industriale e quelli dei depositi bancari. Riepiloghiamo. A fine giugno 2016, rispetto a dodici mesi prima, la consistenza dei depositi bancari è cresciuta di quasi 45 miliardi di euro rispetto all’anno precedente, raggiungendo l’ammontare di 1.321,3 miliardi di euro. Ragionamoci: significa che nell’anno delle quattro “risoluzioni” forzate (Banca Etruria, CariChieti, Banca Marche e CariFerrara), del “buco nero” nel quale sono sprofondate Popolare di Vicenza e Veneto Banca, delle incognite che continuano a gravare sul futuro del Monte dei Paschi di Siena… i cittadini italiani hanno continuato ad accumulare soldi in banca, pur di non investirli altrove. E non perché si fidino davvero delle banche: sarebbe assurdo. Perché non vedono alternative di investimento possibili.
A giugno, la produzione industriale ha segnato un calo dello 0,4% su base congiunturale e dell’1% tendenziale. È stato il dato peggiore da inizio 2015 sia secondo l’indice grezzo che per quello corretto per gli effetti di calendario, essendo stati i giorni lavorativi gli stessi di giugno 2015. Nella media del trimestre aprile-giugno la produzione ha registrato una flessione dello 0,4% nei confronti del trimestre precedente.
Ovvio che il Pil sia fermo. Una bruttissima notizia non solo per lo stato di salute di fondo della nostra economia, ma anche per le tattiche a breve termine del governo, come ha riconosciuto lealmente il viceministro dell’Economia Enrico Morando, affermando che “sulla base di questi dati appare difficile conseguire l’obiettivo di crescita che era fissato nei documenti di finanza pubblica per il 2016, cioè l’1,2%, e quindi, inevitabilmente, sarà possibile che si determinino maggiori difficoltà nella definizione delle scelte. O meglio, bisognerà tenere conto di questo andamento nella definizione delle scelte che riguardano il 2017 e gli anni successivi”.
Un effetto collaterale serio e altrettanto temibile di questa doccia fredda potrebbe poi rimbalzare nuovamente sulla già preoccupante crisi bancaria. Il buon esito delle varie e complesse operazioni di recupero delle sofferenze bancarie in corso, in particolare sul Monte dei Paschi ma non solo, dipende come non mai dalle attese sul futuro dell’economia e dal ciclo economico complessivo. La capacità di un debitore di rimborsare almeno il 40% dei suoi crediti, la conferma “di mercato” dei valori impliciti di tanti immobili, soprattutto industriali, dati in pegno a fronte di debiti e oggi in cerca di compratori, dipendono in gran parte dalla fiducia degli investitori sul futuro. E in questo quadro, quale fiducia si può pensare che il mercato nutra?
Ma se i vari protagonisti di questo mercato non riusciranno a collocare vantaggiosamente le sofferenze, che ne sarà del Montepaschi e delle varie altre banche che devono ridurle o liberarsene? E sulla grande banca di Siena, quali mosse potrà fare il governo, ormai divenuto il primo singolo azionista, con il 4,024% del capitale, dopo che Fintech Advisory ha ridotto la quota detenuta in Mps dal 4,5% al 2,242%? Se il “piano JpMorgan” non troverà riscontro nel buon esito delle operazioni sulle sofferenze in atto ad opera di Atlante…?
Il paradosso è che oggi il volume di risparmio accumulato da imprese e famiglie italiane di stima raggiunga la cifra da record di 6.500 miliardi di euro. Tantissimo denaro fermo, immobile. Per rimetterlo in circolazione, l’unica chiave è ridare fiducia al sistema. Per ridare fiducia al sistema non c’è che tagliare le tasse sui redditi di chi lavora, non inventare magri sostegni al reddito di chi non ne ha affatto o lavoretti di facciata per simulare una ripresa occupazionale che non sta né riaccendendo in modo significativo i consumi, né rilanciando gli investimenti. Ma per tagliare le tasse nonostante i gendarmi tedeschi occorrerebbe tagliare simultaneamente l’enorme spesa pubblica improduttiva. La vera omissione degli ultimi governi.