È l’anno della crescita zero. Si appiattiscono i tassi di interesse, mai così bassi nella storia dell’Italia unita, si spegne l’aumento dell’inflazione, che viaggia in terreno negativo. Puntuale, alla vigilia di Ferragosto, è arrivato il verdetto più temuto: encefalogramma piatto anche per il Prodotto interno lordo, mentre si riduce ulteriormente la stima per l’intero 2016, ormai scesa allo 0,7%, molto al di sotto della previsione ufficiale del governo, ferma all’1,2%. L’economia italiana è rimasta al palo tra aprile giugno, come del resto lasciavano prevedere i segnali negativi arrivati nei giorni scorsi: 1) la produzione industriale in calo negli ultimi tre mesi dello 0,4%, non più sostenuta dai farmaceutici (-7%) e dall’auto (-1%), i punti forti dell’economia nel 2015; 2) la caduta dell’export (-0,5%), sull’onda della crisi di alcuni clienti tradizionali del made in Italy (Brasile, Russia, per ultimo la Turchia), e quella non meno grave dell’import (-6,1%), a conferma della perdurante discesa dei consumi; 3) l’inflazione che resta in terreno negativo (-0,1%), vanificando gli sforzi per combattere la deflazione che continua a fare vittime, a partire dall’agricoltura (il grano duro tratta al 42% in meno rispetto a un anno fa). Date le premesse non stupisce la frenata dell’economia italiana. Ma è una ben magra consolazione.



La frenata è comunque più grave di quanto previsto dall’Ue (le stime erano per un +0,2%) e più accentuata rispetto ai partner comunitari a partire dalla Germania che chiude il trimestre a +0,4%, meglio delle previsioni (+0,2%). Meglio delle stime anche l’Olanda (+0,6%), ma anche l’Ungheria (+1,1%) o la Polonia (+0,9%). E così via. La nota dolente è che il ritardo dell’Italia, già fanalino di coda dell’Eurozona, aumenta. Quest’anno l’economia tedesca crescerà del 3,1%, al pari di quella polacca, davanti all’Ungheria (+2,6%) e all’Olanda (+2,3%). Il segno più, insomma, vale sia per i Paesi dell’area euro che per chi ne sta fuori. Sia per l’Est che per il Nord Europa. Ma anche il Portogallo, partner debole della “periferia”, avanza dello 0,2%. Il dato più confortante arriva da Atene. Il prodotto interno lordo della Grecia è quasi in parità (-0,1%), assai meglio delle previsioni.



Rallenta un po’ tutta l’Europa sotto la pressione della Brexit e i problemi di immigrazione e terrorismo: l’Eurozona dimezza il tasso di crescita (da 0,6% a 0,3% nel trimestre), l’obiettivo di fine anno si riduce all’1,6%. Ma la crisi di fiducia del Bel Paese, alla vigilia di un autunno caldo per gli appuntamenti elettorali (ma anche per le vertenze sindacali) è senz’altro la nota dolente per l’Europa a 28. Anche la Francia chiude il trimestre con una crescita zero. Ma François Hollande, comunque oggetto di forti critiche, ha non poche attenuanti: gli attentati, le ferite inferte al turismo. Soprattutto i durissimi scioperi che hanno accompagnato il dibattito sulla riforma delle leggi sul lavoro. 



Come scrive l’Istat, la “variazione congiunturale è la sintesi di un aumento del valore aggiunto nei comparti dell’agricoltura e dei servizi e di una diminuzione in quello dell’industria. Dal lato della domanda, vi è un lieve contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte), compensato da un apporto positivo della componente estera netta”. Ovvero l’industria frena, i consumi pure. 

Impressiona anche l’aumento del debito pubblico dell’Italia spa che, informa Banca d’Italia, è salito a 2.248 miliardi, 70 miliardi in più sul dato precedente, alla faccia della spending review. Com’è possibile, visto che i tassi di interesse sono scivolati addirittura in terreno negativo? Il servizio del debito, tallone d’Achille di un Paese che ogni anno deve rinnovare 400 miliardi di titoli, è in forte diminuzione, anche (se non soprattutto) grazie agli sforzi della Bce. Ma il debitore Italia, lungi dall’approfittare della congiuntura, accumula nuovo passivo. Alla faccia della credibilità degli annunci quotidiani in arrivo da palazzo Chigi e dai media (quasi tutti) schierati con il mantra ottimista del premier Matteo Renzi. 

I numeri non lasciano dubbi. La ricetta italiana, così come è stata sviluppata in questi anni, non funziona. E la scommessa di puntare sulla crescita finanziata da nuovo debito affonda davanti alle perplessità della comunità internazionale e del mercato interno. Lo scudo offerto dalla Bce ha impedito che lo scetticismo crescente dei mercati (vedi l’outlook negativo dell’agenzia canadese Drbs) si traducesse in una vendita a pioggia sui titoli di Stato. Ma nulla ha potuto fare contro i “sell” che si sono scatenati sulle banche. Inutile imbonire il Paese via tv raccontando una ripresa che non c’è. Le bugie rischiano di tornare indietro come un boomerang. 

L’aria di tempesta si avvicina alla stanza dei bottoni di palazzo Chigi. Renzi non potrà trovare nella ripresa dell’economia, come sperava, le risorse fresche da destinare a pensioni e investimenti. E sarà arduo, date le premesse, ottenere più flessibilità sui conti pubblici da Bruxelles.. 

Non ha senso imputare al governo problemi che hanno natura e dimensione internazionale. Ma questo non deve valere come giustificazione di scelte leggere, fatte più per alimentare la vulgata dell’Italia “che ha voltato pagina” piuttosto che raccontare la verità.