I dati molto deludenti diffusi ieri dall’Istat sull’economia italiana non hanno minimamente arrestato la corsa del Btp che è proseguita anche ieri con i rendimenti rimasti sui minimi. Il trend è diffuso e coinvolge obbligazioni statali di diversi Paesi europei e non, incluse per esempio quelle inglesi con il trentennale britannico a festeggiare la migliore performance da inizio anno tra i pari scadenza europei alla faccia della Brexit. Il caso italiano è comunque utile per cercare di capire quello che sta accadendo a livello globale.



I massimi delle obbligazioni statali italiani coincidono con la diffusione di dati pessimi sull’economia e sul Pil; le battute d’arresto dell’economia italiana e le delusioni rispetto alle attese e ai proclami di sei mesi fa non hanno fermato gli acquisti sulle obbligazioni italiane. La discesa dei rendimenti a livello globale avviene mentre crescono i segnali di deflazione con i prezzi all’importazione degli stati Uniti cresciuti a luglio dello 0,1% e mentre aumentano le preoccupazioni sulla crescita mondiale.



Il mercato sta scontando che non ci siano rialzi dei tassi e che le politiche monetarie rimangano espansive ancora per molto tempo. Queste assunzioni sono coerenti con una crescita economica anemica, con debiti statali esplosi e con mercati pieni di liquidità e in bolla che non possono permettersi crisi finanziarie. Il secondo elemento è che le possibilità delle banche centrali di far fronte alle crisi economiche e finanziarie sono già state ampiamente esplorate; oggi non solo abbiamo centinaia di miliardi di euro di obbligazioni pubbliche con rendimenti negativi, ma si cominciano ad affacciare all’orizzonte situazione in cui i risparmiatori devono pagare le banche per depositare i propri risparmi. Non è fantascienza perché è notizia di ieri che alcune banche cooperative tedesche hanno deciso di applicare un tasso negativo dello 0,4% da settembre ai correntisti con depositi superiori a 100 mila euro.



Le banche centrali possono sicuramente continuare con le politiche espansive, ma non possono fare “più” politiche espansive; quello che potevano fare e possono fare è in atto, ma l’economia in ampie parti del globo non è cresciuta abbastanza per riassorbire gli effetti della crisi e la massa di liquidità. Questa massa di liquidità è così “sfiduciata” sulle prospettive di crescita che preferisce impiegarla a tassi nulli o negativi piuttosto che investirla. È abbastanza chiaro che serva un cambiamento rispetto a quanto si è visto finora.

Il cambiamento di cui si comincia a parlare con sempre maggior frequenza consiste nell’adozione di politiche fiscali espansive e di maggiori investimenti pubblici. Il Giappone si è già avviato su questa strada approvando all’inizio di agosto un piano di investimenti pubblici straordinario. Hillary Clinton ha dichiarato giovedì che se eletta cercherà di approvare un piano bipartisan di spesa pubblica nei primi 100 giorni della presidenza; in particolare, la candidata democratica ha messo un “blitz infrastrutturale” tra le priorità della sua agenda. Proposte simili sono state annunciate anche dal candidato repubblicano Trump. Sulla stessa strada, tra l’altro, si avvierà anche la Russia di Putin.

Questo sforzo pubblico per rilanciare investimenti che i privati non si sentono di fare al punto di accettare rendimenti negativi può avvenire solo se nel frattempo i tassi sulle obbligazioni statali rimangono bassi grazie alle banche centrali. Questo è quindi lo scenario che si sta delineando con le banche centrali che rimangono a supporto di una nuova fase di aumento dei debiti pubblici necessario per aumentare la crescita; solo nel medio lungo periodo è pensabile di riassorbire, con l’inflazione che oggi non c’è, le scorie lasciate dalla crisi finanziaria e poi economica.

Questo sarebbe anche quello che servirebbe all’Italia, oltre alle riforma della macchina statale che non arriva mai, ma l’Europa è l’unica parte del globo in cui non si parla di questi temi. Da una parte c’è la Germania che non investe nemmeno nelle proprie infrastrutture e impone la sua politica in Europa, dall’altra ci sono tutte le conseguenze negative di una competizione intra europea che non vuole che i concorrenti, tra cui l’Italia, si rafforzino e continuino a rimanere terra di conquista per imprese altrui e con gli artigli tagliati quando si tratta di politica estera, con Egitto e Libia tra gli esempi più significativi. Poi l’Italia ci mette del suo non riuscendo a recuperare un minimo spazio di manovra rifiutandosi di mettere mani nella spesa pubblica inutile e inefficiente.

Sarebbe comunque un buon inizio se di queste cose si cominciasse a parlare tranquillamente anche in Italia senza la cappa di “austerity” e simili che ancora oggi viene usata come ragione del mancato salvataggio delle banche.