Eurostat altisonante sulla crescita nell’area Euro e in Ue-28, area allargata. Cifre considerate importanti, con un Pil in crescita dell’1,6% nell’area Euro, rispetto allo stesso periodo 2015, e 1,8% nell’area Ue-28. Dovere di cronaca, ma questo non sposta niente. Il fatto stesso che in Europa vi siano due aree implica che i criteri di valutazione sono di fatto disomogenei, dunque i numeri vanno sempre incorniciati e interpretati. Ad esempio, la crescita di 0,3% in Grecia, nel 2016, periodo qui considerato, che significa? Niente in termini sistemici, la Grecia è sempre quello che è e niente è mutato, né muterà, nell’assetto europeo.
Infatti, aggiustati a seconda della stagione, cambi quadrante e trovi un -0,7%: aggiustamenti, appunto. L’economia “aggiustata” dell’euro è un risiko strategico a somma zero e un calcolo finanziario a bocce ferme, perché in movimento non c’è niente. Si muove la Lituania, perché c’è un regime fiscale agevolato per le imprese, a tassazione al 15%, che prevede un 5% in prospettiva, e ciò fa mercato. Ma non fa Europa, con altri regimi fiscali e altre gabelle sui mercanti e i capitalisti. L’Europa è il regno dei banchieri, cioè dei parassiti del sistema creditizio, fra i Sommersi e i Salvati, per dirla con Primo Levi, sempre nella seconda categoria, Deutsche Bank docet.
Poi Eurostat scivola nel comico perché compara il Pil degli Usa, trascurando proprio il “dettaglio” più rilevante, che emerge dalla nuova geopolitica di questi ultimi tempi: l’asse forte oggi non è più l’Atlantico, ma il Pacifico. E la Russia che si allea con la Turchia di Erdogan è la risposta alla duplice sfida, da un lato le messa all’angolo di Putin da parte degli ottusi eurocrati, dall’altro, la pressione proveniente dal Pacifico e dall’Asia, il Far East, con i quali fare sempre i conti. Quindi, Eurostat pensa ancora come se fossimo nel 2006-2007, nella migliore delle ipotesi, e i suoi dati valgono come gli articoli, anche i migliori, dopo la debita lettura: se cartacei, ci si incarta le uova.
Il tema vero è l’Asia e il Pacifico. Qualche dato per documentare questo che non è più un punto di vista, ma il risultato della mera osservazione. Se facciamo il rapporto tra la popolazione – fattore decisivo, che sta tornando alla ribalta -, il Pil nazionale e quello pro capite, delle seguenti nazioni: Cina, Vietnam, Singapore e Filippine, noi vediamo un trend crescente, secondo parametri regionali, ma tutto segnato da una forza di assetto sistemico e di scambi, che l’Europa soprattutto oggi non ha più. Nel senso che, mentre l’area Eu declina, e non troppo lentamente, quest’area compatta e differenziata, cresce (la crisi della Cina non è una crisi nel senso europeo del termine), e anch’essa non troppo lentamente. È capace quindi in influenzare sia l’Australia che la California, così distanti e così segnate dal Pacifico.
Dunque, Eurostat conduce una battaglia retorica e di retroguardia sui numeri, mentre nel Far East le famiglie tirano su nuovi figli, fanno sacrifici per farli studiare, si aprono alle opportunità e sono resilienti almeno il doppio, se non il triplo rispetto ai “fighetti” europei ancora imbevuti del colonialismo dei perdenti chiamato grottescamente eurocentrismo.
Anzi, più questi numeri vengono ostentati, più il re è nudo e ormai non sa più cosa fare per sottrarre il suo corpo agli oltraggi della storia. I fatti sono testardi, come diceva uno che ha dato lezioni, non in contemporanea, allo zar Putin, che non mollerà la presa sull’asse euroasiatico con vista bifocale sul Far East.
P.S.: Ah sì, il piano di investimenti di Juncker…come va con la Deutsche Bank? Forse ho perso qualche passaggio…