È cominciato il conto alla rovescia per il giorno (peraltro ancora non fissato, ma presumibilmente in novembre) in cui si terrà il referendum sulla complessa, e in numerosi punti di difficile comprensione, riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi. Come in una democrazia europea si sia giunti a questo stadio è compito che lasciamo ai futuri storici. È senza dubbio singolare che la Carta fondamentale della Repubblica non emerga, a larga maggioranza, da un’assemblea rappresentativa, quindi eletta con metodo proporzionale, ma da un Esecutivo la cui maggioranza alla Camera dei deputati è frutto di un premio considerato esagerato dalla stessa Corte Costituzionale. Colpisce poi che si vada a una nuova Carta fondamentale prima di avere attuato due prescrizioni della Costituzione in vigore: le leggi sul funzionamento di partiti e di sindacati.



È ancor più singolare che il nuovo testo, ove approvato, renderebbe il processo legislativo molto più complicato dell’attuale in sette importanti materie. È una vera rarità il combinato disposto tra una riforma che accentra i poteri nell’Esecutivo e una legge elettorale essenzialmente plebiscitaria, nonché che lo stesso Governo consideri la riforma Costituzionale, se varata, come una sperimentazione che potrà essere cambiata cammin facendo sulla base dell’esperienza. Quindi, una Costituzione variabile; tra qualche anno i proponenti attuali potrebbero dire Italiani, abbiamo scherzato!



I dati economici pubblicati questo fine settimana inducono a serie preoccupazioni e dovrebbero suggerire al Governo di ritardare a tempi migliori la riforma. In effetti, i sondaggi suggeriscono che il No potrebbe vincere, se non altro perché, a torto o a ragione, i nodi economici irrisolti vengono attribuiti a chi ha responsabilità di governo. È la celebre sindrome del “Piove, Governo ladro!”.

Sorprende che in una situazione del genere, invece di rassicurare gli italiani, il Governo abbia scatenato i Cavalieri dell’Apocalisse. Ora la propaganda a favore del Sì si basa su scenari che tratteggiano il disastro in caso di vittoria del No: gli investimenti esteri scapperebbero dall’Italia (e così anche quelli degli italiani in grado di farlo), lo spread aumenterebbe, la disoccupazione pure. A fronte dei dati economici degli ultimi giorni, è una propaganda davvero masochista e che rafforza il fronte del No.



In primo luogo – lo hanno scritto economisti del rango del Premio Nobel John Douglas North -, una riforma istituzionale rallenta in ogni caso l’andamento economico, se non altro perché le “vecchie” regole si irrigidiscono di fronte all’avanzare delle “nuove” o dove le “nuove” vengono approvate sono necessari almeno cinque anni perché vengano metabolizzate dagli interessati (politica, funzione pubblica, imprese, famiglie, cittadini). La proposta riforma non è stata accompagnata almeno da vitamine per aiutare l’ammalato a rinvigorirsi.

In secondo luogo, la proposta riforma (e le gaffes nel suo percorso quali presentare risparmi di 500 milioni euro quando gli uffici tecnici ne stimano 50) ha scatenato incertezza. Gli economisti sanno che l’incertezza si differenzia dal rischio in quanto il secondo si può stimare (facendo ricorso al calcolo delle probabilità), mentre il primo non è quantizzabile e lascia tutti nel buio più nero. Quindi, il danno è stato già fatto.

L’andamento scoraggiante dell’economia italiana già sconta i danni di una proposta di riforma confusa e confusionaria, che non rappresenta che una parte del Parlamento e che lo stesso Governo considera vincente unicamente se un terzo degli italiani non andranno a votare. Dimenticando che un Presidente del Consiglio, circa tre lustri fa, suggerì agli elettori di andare al mare, e iniziò così il declino della sua carriera politica.

Gli scenari catastrofici delineati dai Cavalieri dell’Apocalisse (tra cui primeggiano due Valchirie) sono stati di recente smentiti, nella realtà effettuale delle cose, dalla Brexit: incertezza e caos non sono peggiorati in quanto già messi in conto dagli operatori. Non è il vostro choniqueur a dirlo, ma tutta la ricerca economica internazionale, compreso il Gaidar Institute of Economic Policy di Mosca in un saggio apparso nel numero di luglio del mensile Russian Economic Development.

I mercati hanno già metabolizzato che anche nell’eventualità della vittoria del Sì la fase caotica già in atto non potrà che peggiorare in quanto il successo, se ci sarà, sarà appena di misura e si apriranno vertenze giuridiche molto gravi di fronte alla Corte Costituzionale. Con l’ulteriore peggioramento dell’economia, gli stessi sindacati avranno difficoltà a tenere calma la piazza.