Nelle ultime settimane si è assistito a un continuo abbassamento dei rendimenti dei titoli di stato inclusi quelli di Paesi, come l’Italia, al centro dell’attenzione dei mercati e degli investitori. La dimensione del fenomeno è decisamente ampia, al punto che migliaia di miliardi di euro di debiti sovrani hanno ormai rendimenti negativi. A questi miliardi dovremo presto aggiungere anche i semplici depositi degli investitori nei conti correnti bancari; non è fantascienza, perché già accade che alcune banche regionali tedesche applichino un tasso negativo dello 0,4% sui depositi sopra i 100 mila euro. In pratica il risparmiatore paga la banca perché custodisca i suoi risparmi; in un mondo in deflazione la scelta è molto meno assurda di quanto si potrebbe pensare.
La spiegazione di questo strano fenomeno è in realtà meno complicata di quanto si potrebbe pensare. La banca presso cui si depositano i soldi deve a sua volta impiegarli scegliendo anche tra obbligazioni statali con rendimenti negativi, sui cui perde, o depositandola presso la Bce a un tasso negativo oppure potrebbe avventurandosi in obbligazioni statali o societarie con tassi bassissimi, ma con rischi non marginali. Se ci si mette nei panni della banca o del “risparmiatore” che vuole investire in prodotti sicuri senza perdere soldi ci si trova davanti a un dilemma non banale.
Una soluzione ovviamente ci sarebbe e incredibilmente sta già venendo esaminata. La soluzione sarebbe una sorta di opzione “soldi sotto al materasso 2.0” rivisitata e corretta per adeguarsi al ventunesimo secolo. Alcune importanti assicurazioni e banche tedesche, tra cui Munich Re e Commerzbank, hanno già sperimentato o valutato seriamente l’ipotesi di ammassare banconote nei depositi. La soluzione non è logisticamente priva di sfide; il possesso fisico di banconote ha alcune controindicazioni ben note. Le banconote possono bruciare, si possono rompere o bagnare e infine possono essere rubate. Immaginiamo che l’incentivo a fare un buco in un caveau pieno di banconote da 500 euro possa essere significativo. La soluzione sarebbe assicurare le banconote pagando un prezzo che al momento si stima possa essere compreso tra lo 0,5% e l’1%. Finora la soluzione appare quindi appena un po’ meno “conveniente”, in compenso si avrebbe la flessibilità che solo il possesso fisico può regalare.
Se la discesa dei tassi dovesse continuare perché la crescita non c’è e continua o peggiora la deflazione, queste notizie che già conquistano le prime pagine della stampa specializzata potrebbero diventare di moda con conseguenze interessanti. Una prima conseguenza sarebbe che le politiche di espansione monetaria che in teoria servirebbero per “costringere” le banche a prestare soldi sarebbero depotenziate. I risparmi non verrebbero convogliati nella “economia reale”, ma rimarrebbero inutilizzati per ottenere i dividendi della deflazione alimentando un circolo vizioso facilmente intuibile. La seconda conseguenza sarebbe una penuria di banconote fisiche in circolazione con i caveau pieni di carta immobile. In questo caso si potrebbe persino arrivare all’assurdo per cui una banconota da cento euro valga di più di cento euro in un conto corrente.
La lettura di queste notizie dovrebbe far riflettere sul fallimento completo della politica economica europea che rischia di finire con montagne di carta nei caveau e la disoccupazione al 10% e passa in gran parte dell’eurozona con milioni di persone disoccupate. Questo in una fase in cui in teoria, proprio grazie ai tassi bassi, si dovrebbero far debiti per investire in beni fisici e in infrastrutture facendo ripartire la crescita e con essa anche i rendimenti e l’inflazione. Tutto questo è anche conseguenza di una serie di rigidità assolute imposte a membri dell’Europa, Italia in testa, come parte di una competizione cattiva tra stati membri ottenuta con un’applicazione asimmetrica delle regole per far fuori “l’avversario-concorrente”.
Qualcuno alla fine si chiederà che differenza ci possa mai essere tra euro o lire chiusi, sigillati e soprattutto inutilizzati in cassaforte.