Siamo veramente al delirio. A Como ci sono 500 clandestini accampati nel parco adiacente alla stazione ferroviaria, vivono e fanno vivere residenti e turisti in condizioni igieniche da favela, ma nei tg l’unica notizia, a parte Salvini vestito da poliziotto, è la minaccia dell’Isis all’Italia attraverso i cosiddetti lupi solitari. Io capisco che essere bipolari sia di moda, ma fate pace col cervello, cari colleghi: un Paese nel mirino del terrorismo lascia centinaia di sconosciuti vagare per le proprie città? Certo, il rischio del matto che fa strage in nome di Allah c’è sempre e dappertutto, ma è chiaro che se, in nome di un supposta accoglienza, fai entrare chiunque nel tuo territorio, magari il rischio si alza un filino.
Ora, provate a ragionare in altro modo, per un istante. Guardate il grafico a fondo pagina, il quale ci mostra i risultati del sondaggio mensile che Bank of America compie tra i fund managers riguardo il tail risk maggiormente temuto (ovvero, l’evento di mercato improbabile ma potenzialmente letale). Bene, come vedete la minaccia terroristica globale è in fondo alla lista ad agosto, mentre a luglio nemmeno compariva: ovviamente, dopo Nizza e la Germania, c’è il timore per qualche depresso in più che sparacchia a caso. Guardate però cosa c’è in cima alla classifica, saltata fuori dal nulla rispetto a luglio: la disintegrazione dell’Ue. E da dove salta fuori questo timore? Cosa lo sostanzia? Parecchie cose di cui non vi accorgete, per il semplice fatto che non ve le dicono.
Primo, quel gran filantropo di George Soros ha appena portato ai massimi la sua posizione short sugli indici azionari statunitensi: di solito, il maledetto ci azzecca. Secondo, grazie alle politiche da psicopatici delle Banche centrali, questa settimana i bond con rendimento negativo – sia sovrani che corporate – a livello globale hanno toccato un controvalore di 13,4 triliardi di dollari, in aumento dai 13,1 triliardi della scorsa settimana: in parole povere, un quarto dell’intera economia globale ha tassi di interesse negativi. E se la Fed a settembre decide di alzare, anche solo di un quarto di punto? Terzo, nel silenzio tombale dei media, troppo impegnati a dare la colpa ai russi anche per le zanzare, sul finire della scorsa settimana Deutsche Bank, colosso al collasso e in vista di nazionalizzazione, ha pubblicato uno strano report.
Eccone l’estratto più interessante: «Lo status quo (dei mercati, ndr) potrebbe continuare per parecchi anni, se nulla rompesse il sistema, ma senza uno shock economico esterno sarebbe difficile vedere i politici essere preparati a intraprendere azioni fiscali drammatiche per far ripartire l’economia globale e farla uscire dalla repressione finanziaria, caratterizzata da rendimenti reali bassi e in calo per portarla verso una come rendimenti nominali in rialzo e aspettative inflazionistiche in aumento… Ironicamente, lo shock di cui abbiamo bisogno richiede un collasso degli assets a rischio, al fine di mandare davvero nel panico i politici e ottenere uno stimolo fiscale in grande stile».
Insomma, una banca che gli ultimi stress test Zew hanno detto essere a rischio fallimento in caso di scenario avverso sui mercati (rischia di perdere 19 miliardi di euro, quando ne capitalizza solo 17) auspica un crollo azionario sostanziale – 30-40% – per ottenere quanto serve. Ovvero, più Qe! Sono dei tossicodipendenti da debito e tassi a zero, l’economia mondiale è marcia nel midollo. Il problema è che se Deutsche Bank scrive certe cose, non lo fa a caso o per riempire i fogli di carta.
Cosa potrebbe sostanziare un crollo? La Fed, in primis. Un attacco hacker russo, ovviamente finto e fatto in casa dagli Usa per giustificare il fatto che le Borse si schiantano per colpa di Putin e non perché sono in bolla. Oppure ciò che temono i fund manager interpellati da Bank of America: un rinnovato timore per la tenuta dell’eurozona.
Direte voi, com’è possibile? Gli spread sono tenuti bassi dalla Bce, la quale nel frattempo sta comprando anche l’aria per permettere alle aziende di finanziarsi sul mercato. Vero, però ci sono due variabili. La prima è l’economia reale, la quale a differenza delle Borse fa letteralmente pietà, basti vedere il nostro ultimo dato del Pil o i tassi di disoccupazione nell’Ue. Secondo, quello che ci mostra il grafico a fondo pagina. Se infatti le nostre banche sono sotto pressione per la mole enorme di non performing loans che detengono, c’è un’altra criticità che sta emergendo nell’eurozona: le banche portoghesi, debolissime, hanno quasi raggiunto quelle italiane nella non invidiabile classifica del doom loop, ovvero il circolo vizioso tra debito sovrano e detenzioni bancarie.
La logica è chiara e semplice: più uno Stato emette debito, stimolato dagli acquisti della Banca centrale che garantisce rendimenti sotto zero in molti casi, più le banche commerciali comprano quel debito, certe della garanzia governativa sullo stesso, implicita o esplicita che sia. Ma se i bilanci delle banche peggiorano a causa delle sofferenze, questo di fatto porta a un impairment della garanzia governativa finale sul quel debito. Insomma, basta uno shock sugli spread e da un lato gli Stati vedono deteriorarsi la loro posizione fiscale e, dall’altro, le banche pagano dazio alle loro enormi detenzioni sovrane. Insomma, il 2011.
Bene, oggi le banche portoghesi detengono debito sovrano pari al 10% degli assets totali, in aumento dal 7% di soli due anni fa: avanti di questo passo, nel 2018 arriveranno al nostro livello di esposizione. Il problema è che il Portogallo ha un ratio debito/Pil del 129% e ha mancato, insieme alla Spagna, i propri obiettivi di deficit per il terzo anno di fila: a causa della crescita in ulteriore rallentamento, le proiezioni di budget rischiano quindi di essere ancora una volta ottimistiche e potrebbero portare a tensione. Ed essendo il debito portoghese eligibile agli acquisti della Bce solo perché ritenuto investment grade dall’agenzia canadese Dbrs, mentre per le “tre sorelle” è junk, se si arrivasse a un downgrade, sarebbe la catastrofe: senza il backstop di Francoforte, lo spread portoghese volerebbe alle stelle e contagerebbe immediatamente quello spagnolo, visto che le banche iberiche sono estremamente esposte verso quelle lusitane.
E non ci vuole molto, perché un calo del 15% nel prezzo dei bond sovrani eroderebbe il 35% del capitale delle banche italiane, il 22% di quelle portoghesi e il 18% di quelle spagnole. Capito perché è tornata di moda l’ipotesi di frantumazione dell’eurozona sui mercati? Senza scordare le tensioni che innescherà il referendum costituzionale di novembre, visto che – casualmente – molti operatori e osservatori di fatti economici hanno già detto che avrà un impatto maggiore del Brexit sui mercati. Peccato che nessuno vi dica queste cose, meglio spaventarvi con l’Isis alle porte di Roma e i lupi solitari in agguato al supermercato.