“Siena, 8 Novembre 2007 – Banca Monte dei Paschi di Siena precisa anche di essere assistita da Merrill Lynch International in qualità di lead advisor finanziario e da Mediobanca in qualità di co-advisor” nell’acquisizione della Banca popolare Antonveneta, per 9 miliardi di euro: una follia esiziale per il Monte. Bello, l’archivio. E che acume, Mediobanca, nel fungere da co-advisor! Sfogliamolo ancora, l’archivio, in questi giorni caldi per il Montepaschi e le banche italiane. Ecco un’altra chicca. Tratta da una richiesta di rinvio a giudizio (ancora tutto per aria) avanzata nel 2013, tra gli altri anche a carico di… Jp Morgan, cui “viene contestato l’illecito amministrativo in base alla legge 231 sulla responsabilità d’impresa”, perché ”non comunicava a Bankitalia” di aver “ricevuto da Mps una indemnity con cui la banca senese la garantiva dalle eventuali perdite e passività debitamente documentate che potevano derivare da accadimenti correlati alla sottoscrizione delle obbligazioni fresh”. Per i magistrati il reato sarebbe stato commesso “nell’interesse e a vantaggio di Jp Morgan da persona allo stato ignota, per la quale si procede separatamente, che rivestiva al momento del fatto funzioni di rappresentanza, di amministrazione e comunque direzione della società” (Ansa, 31 luglio 2013).
Curioso, no? Oggi che a “salvare” il Montepaschi con un’operazione “di mercato” accorrono, sollecitate e benedette da palazzo Chigi, Jp Morgan e Mediobanca, fa effetto ricordare che furono proprio queste due premiate ditte tra le principali coprotagoniste delle intricate vicende che scavarono nei conti del Monte il “padre di tutti i buchi”, ovvero l’acquisto a un prezzo folle di una banca piena di crediti marci.
Chi rompe paga e i cocci sono suoi? Veramente, chi rompe fu profumatamente pagato allora e lo sarà di nuovo. Strane le regole dei mercati finanziari… Meno strano, per una volta, il comportamento dei mercati finanziari, che ieri hanno penalizzato tutto il comparto bancario: Unicredit -9,4%, B.P.Milano -6,22%, Ubi -6,2%, B.P.E.R -5,67%, B.Popolare -5%, Intesa Sanpaolo -3,5% e Mediobanca -1,92%. Timido segno “più” solo per il Montepaschi +0,58%. Con miliardi di buone ragioni alle spalle.
Speculazione, prevalentemente. Ma anche una domanda semplice-semplice. Chi, avendo oggi 5 miliardi di euro e la voglia di investirli nel comparto bancario italiano, dovrebbe metterli su Mps? Certo, costa poco. Ma… non ci sono alternative? Per esempio le quattro “good bank” già purgate dalle loro sofferenze, con il “pre-bail-in”di fine 2015, le “ex” Banca Etruria & C.? E non c’erano le due banche venete, che invece nessuno – oltre Atlante – ha voluto?
La sensazione, sul mercato, è che il piano per Siena ora dopo ora appaia sempre meno convincente, e sempre più farraginoso. E il piano-Passera, spedito dall’autore ai consiglieri dei Monte – cui gli è stato impedito di presentarlo revocandogli l’invito a farlo! – appare a molti seriamente competitivo.
Le incognite sull’attuazione del piano Jp Morgan sono infatti molte. I 6 miliardi di sofferenze che verranno “cartolarizzate” con garanzia pubblica sono tantissimi e di incerta collocabilità, tanto che Jp Morgan farà al Monte un prestito-ponte (profumatamente remuneratole) che permetterà di scorporare le sofferenze in una bad-bank per poi con calma cercare di piazzarle. E l’aumento di capitale? Mps ha già drenato danaro fresco per 8 miliardi negli ultimi due anni, dopo l’uscita della gestione Mussari. Tolta Mediobanca, nessun istituto italiano vi prenderà parte. E a collocarlo non c’è alcun consorzio “di garanzia”: la promessa delle banche consortili, per dirla in gergo, è quella di fare il “best effort”, il massimo sforzo per collocare. Al consorzio, oltre a JpM e Mediobanca, stanno aderendo in tanti, troppi per spartirsi un affare che apparisse davvero buono: Citi, Credit Suisse, Bank of America-Merrill Lynch (altra vecchia conoscenza dell’operazione Antonveneta, come s’è visto), Santander e Deutsche Bank, Bbva, Société Générale e Commerzbank.
Il particolare che l’operazione sia stata in sostanza varata nella sala da pranzo di palazzo Chigi durante una colazione col premier del capo di Jp Morgan James Dimon e il suo luogotenente europeo Vittorio Grilli – ex direttore generale del Tesoro e poi ministro dell’Economia nel governo Monti, collega e rivale di Corrado Passera che “reggeva” lo Sviluppo economico – basta da solo a far capire quanto poco sia “di mercato” l’intera operazione.
Che la controfferta, in zona Cesarini, di Passera con Ubs sia stata cestinata senza approfondimenti, diciamolo, appare il minimo, alla luce di simili pressioni e simili poteri in gioco. Mettersi contro la più grande banca del mondo, ammanicata in quel modo con il governo… Ma in che film? Peccato, però. Perché il piano-Passera aveva qualche atout oggettivo. Intanto, la credibilità del firmatario, perché – senza nulla togliere al gran lavoro fatto da Fabrizio Viola, l’amministratore delegato del Monte che ha retto la gestione semi-commissariale del dopo-Mussari – ai mercati piace l’idea che ci sia un altro “supereroe” capace di sollevare la croce e garantire il successo. Magari non ci riuscirebbe, ma…fa sognare. E poi il piano Passera-Ubs chiede meno soldi al mercato come capitale e sembra industrialmente molto solido.
È acqua passata. Ma bisognerà seguire il dipanarsi delle faticose compatibilità del piano A. Tra una pletora di banche cooperanti, ma pur sempre concorrenti fra loro; e un’oggettiva scarsità di pretendenti all’investimento. Certo, dietro c’è il governo. Ma l’aumento di capitale difficilmente si compirà prima del referendum costituzionale. Che finirà con l’essere un referendum multi-task: sulla Costituzione, sul premier e sul Monte.