Il mondo si commuove per la foto del bimbo siriano scampato a un bombardamento. È normale, ci mancherebbe: farebbe tenerezza anche l’immagine di un bambino che piange perché si è sbucciato un ginocchio, cadendo dalla bicicletta, figuriamoci quella di un ragazzino coperto di polvere e sangue in un ospedale. Significa che c’è ancora speranza, che il mondo ha ancora un cuore? No, che siamo una banda di ipocriti. La crisi siriana è iniziata nel 2011, sono passati cinque anni: quanti bambini siriani saranno finiti in ospedale in quelle condizioni? Migliaia. E quanti giornalisti e fotografi si sono alternati nel teatro di guerra da allora? Centinaia. Eppure la foto che fa impietosire il mondo salta fuori adesso, rilanciata dal progressista e britannico Guardian. Siamo ad Aylan 2.0, il bimbo siriano il cui cadavere immortalato sulla spiaggia fece un’altra volta piangere e intenerire il mondo: e cosa accadde dopo? La Merkel decise di spalancare le porte, dando vita al disastro che stiamo vivendo. Oltretutto, in maniera ulteriormente ipocrita, perché le mille Ventimiglia o Como d’Europa che pagano il prezzo all’immigrazione di massa non accolgono gli Aylan o i bambini impolverati di turno, ma ragazzoni di Gambia, Nigeria ed Eritrea: i siriani, quelli che davvero meriterebbero aiuto, li lasciamo nei lager di Erdogan, il quale per il servizio si prende pure 6 miliardi dall’Ue. 



E oggi, invece? Stranamente, la foto strappalacrime viene pubblicata e resa virale nel giorno in cui l’inviato Onu per la Siria, Steffan de Mistura, decideva di battere i piedi e annunciava lo stop alla distribuzione degli aiuti umanitari, resa impossibile – a suo dire – dalla decisione russa di limitare a sole 3 ore al giorno il cessate il fuoco. Detto fatto, Mosca ha capito la trappola mediatica in atto e ha dato l’assenso a una tregua di 48 ore ma dalla prossima settimana: state certi che da qui a lunedì, ampi strati della periferia di Aleppo verranno tramutati in posacenere. È tutta una messinscena ipocrita, svegliatevi. Come la faccenda del burkini, diventata di colpo emergenza europea. Caso strano, due nazioni che hanno svenduto l’anima al multiculturalismo come Francia e Germania si sono tramutate in falchi su questa materia da barzelletta: Valls ha scomodato i valori della Republique, incompatibili con il costume integrale, mentre la Merkel ha dichiarato guerra al burka. Il tutto, dopo aver tramutato le loro nazioni in laboratori della disgregazione sociale in nome del politically correct



Qui, come al solito, Matteo Salvini non ha colto al balzo l’occasione per tacere almeno una volta e ha evocato i fantasmi di chi sa quale pericolo: siamo un Paese con 2248,8 miliardi di euro di debito pubblico, sicuri che il burkini sia una priorità così stringente? Non è che queste polemiche servono solo a sviare l’attenzione da altro, ovvero da un’economia a pezzi che sta andando a tappe forzate verso il commissariamento europeo? Se vince il “Sì” al referendum, infatti, Renzi partirà lancia in resta con un’agenda dettata da Commissione e Fmi pur di sopravvivere politicamente, mentre se perde il presidente Mattarella ha già fatto capire che non scioglierà le Camere e si andrà o verso un reincarico al premier o verso una soluzione tecnica: arriva Mario Draghi con Jens Weidmann a capo della Bce per traghettare la Germania fuori dall’eurozona in disfacimento? 



Lo so, mi ritenete un cinico. Ma, francamente, non mi interessa. Meglio cinico che fesso a piangere di fronte a una foto la cui pubblicazione sottende finalità vergognose. Volete sapere in che mondo viviamo? In uno in cui la talpa che aveva aiutato la Securities and Exchange Commission a scoprire false pratiche contabili in Deutsche Bank, costati alla banca tedesca una multa da 55 milioni di dollari nel maggio 2015, si è rifiutata di accettare il compenso previsto dall’autorità di Borsa Usa per chi fa da informatore. 

Il suo nome è Eric Ben-Artzi e in un editoriale scritto di suo pugno sul Financial Times di ieri ha spiegato dettagliatamente perché non vuole intascare gli oltre 8 milioni di dollari a lui destinati. «Anche se ho bisogno del denaro ora più che mai, non mi unirò al saccheggio delle persone che ero chiamato a proteggere quando sono stato assunto», ha dichiarato. Nel 2010-2011, l’ex dipendente dell’istituto di credito europeo insieme ad altre due persone aveva comunicato ai regolatori Usa che Deutsche Bank gonfiava il valore del suo enorme portafoglio di derivati. A suo modo di vedere, le vittime principali di questa pratica sono stati gli azionisti e i dipendenti della banca che ora stanno perdendo il lavoro. Invece, attacca, «i top manager se ne sono andati con bonus multi-milionari calcolati sulla base di bilanci non corretti. È dunque particolarmente deludente che nel 2015, dopo una lunga indagine a cui hanno contribuito vari informatori, la Sec abbia imposto una multa agli azionisti di Deutsche e non ai manager responsabili». 

Ben-Artzi ha detto che «non era mia intenzione trasformare un lavoro nella gestione del rischio in una crociata, ma dopo avere sofferto per mano di top manager di Deutsche non mi unirò a loro semplicemente perché non posso batterli». Ma Ben-Artzi si è spinto oltre, facendo notare che il trattamento da parte della Sec verso i vertici di un gruppo finanziario molto più piccolo, Trinity Capital, è stato ben diverso: in quel caso, ha scritto sull’FT, «cinque manager sono stati accusati e il ceo ha pagato una multa». Perché dunque la Sec non ha fatto altrettanto con Deutsche? La risposta è che gli avvocati della banca tedesca sono entrati e usciti dalla Sec «prima e dopo le attività illegali della banca». È la talpa stessa a fornirne i nomi: Robert Rice, Robert Khuzami e Richard Walker: «Tutto questo è avvenuto sotto lo sguardo di Mary Jo White, l’attuale presidente della Sec, la cui relazione con Khuzami e Rice risale a vent’anni fa». 

Capito perché ora Deutsche Bank è conciata talmente male da aver bisogno di essere nazionalizzata o comunque salvata? Capito perché a pagare sono sempre gli stessi? Perché a voi danno in pasto il burkini e le foto di bambini impolverati sfuggiti a un bombardamento. E pensate che il Financial Times abbia pubblicato quell’editoriale per amore di verità? No, perché dopo il Brexit proprio la Germania, nella fattispecie Francoforte, si era lanciata in una campagna di attrazione verso le istituzioni finanziarie che intendevano lasciare Londra, in caso avesse perso il passaporto finanziario che le garantisce di operare con le banche europee. 

È tutto e solo business, sono soltanto soldi e interessi. E se non volete vivere e morire in un mondo così, è il caso che la smettiate di commuovervi per le foto o indignarvi per il burkini e cominciate a chiedere conto a chi di dovere per le sue responsabilità. Altrimenti, piangete pure, ma non lamentatevi.