Le banche rappresentano un problema molto serio per l’Italia. A ribadirlo è Daniel Gros, Presidente del Centre for European Policy Studies (Ceps) di Bruxelles, che oggi sarà ospite del Meeting di Rimini per parlare di “Presente e futuro dell’Eurozona”. E dal vertice Renzi-Merkel-Hollande in programma domani a Ventotene il Professore tedesco, laureatosi a Roma, non si aspetta un risultato importante o utile. Anche perché la richiesta di flessibilità sui conti pubblici che il nostro Premier sembra intenzionato a chiedere «non è nell’interesse dell’Italia».
Professore, come vede la situazione dell’Eurozona?
Alcuni meccanismi negli organismi di govenance non funzionano bene, in particolare quelle regole che dovrebbero costringere i governi nazionali a fare cose che da soli non farebbero. In generale, invece, il sistema, l’economia dell’Eurozona, non va tanto male, a parte i problemi specifici di due paesi.
Immagino che uno sia la Grecia. E l’altro?
Sì, uno è la Grecia. L’altro è l’Italia.
Quali sono i problemi del nostro Paese?
Fondamentalmente la bassa crescita.
E questo problema si risolve con le riforme strutturali di cui si parla da diversi anni?
Teoricamente sì, nella realtà purtroppo nessuno ha ancora capito quali sono le riforme che risolverebbero il problema, perché in Italia ci si è mossi tanto, non passa anno senza che vi siano riforme, ma la crescita non torna comunque.
Si tratta di un problema di scarsa incisività delle riforme adottate oppure di settori in cui non vengono applicate?
Secondo me, quello di cui ha bisogno l’Italia non sono tanto riforme intese come cambiamento delle leggi. Occorre incidere di più nelle norme riguardanti le amministrazioni locali, regionali e tutto quel sottobosco di partecipate pubbliche. Senza dimenticare il settore bancario che rappresenta un problema molto forte.
Sempre a proposito di riforme, in questi giorni abbiamo visto importanti organi di stampa internazionali esprimere preoccupazione per il referendum costituzionale italiano, che viene considerato addirittura più importante di quello sulla Brexit. Secondo lei, è esagerato questo paragone?
No, direi che per l’Italia ha un’importanza ancora maggiore, per l’Eurozona potenzialmente anche. Non tanto per l’argomento in sé, ma per il segnale che può dare, magari se vince il populismo.
Recentemente lei si è espresso contro la scelta di non sanzionare Spagna e Portogallo per aver sforato il deficit concordato con Bruxelles. L’Italia, a quanto pare, vuol chiedere altra flessibilità all’Europa. Cosa ne pensa?
Penso che sia sbagliato per l’Italia, non è nel suo interesse nel lungo termine. Ma la Commissione europea si è messa in una situazione in cui non può più sanzionare nessuno. L’Italia presenterà di nuovo un programma in cui chiederà anche quest’anno un po’ più di flessibilità dicendo che nel 2017 farà poi uno sforzo grandissimo di rientro. Le verrà quindi concessa, ma poi tra un anno l’Italia troverà un’altra scusa per chiedere di rinviare lo sforzo.
Domani è in programma il vertice di Ventotene tra Renzi, Merkel e Hollande. Cosa si aspetta considerando che si incontrano i leader dei tre principali paesi europei dopo l’addio della Gran Bretagna all’Ue?
Purtroppo non prevedo un risultato molto importante o utile. Per esempio, sulla flessibilità la Merkel dirà che tocca giustamente alla Commissione europea esprimersi. Sull’Eurozona c’è un passo importante che si potrebbe fare, perché c’è un pacchetto sul tavolo che riguarda il completamento dell’Unione bancaria con la garanzia comune dei depositi e la fissazione di un tetto al possesso di titoli di stato da parte delle banche. Sarebbe una cosa da fare, ma purtroppo non si farà, anche perché in Italia questo compromesso non sembra accettabile.
Se fosse accettato si creerebbe un problema enorme per le banche italiane che già non se la passano bene…
Le banche rappresentano un problema molto serio per l’Italia. Tutti parlano dei crediti in sofferenza, ma senza chiedersi come si sia arrivati a questo problema. Quello che si osserva da molti anni, già da prima della crisi finanziaria, è che l’erogazione del credito era addirittura superiore a quella della Germania, ma rendeva poco. Anni, anzi decenni, di investimento che rende poco alla fine fa sì che ci siano dei crediti in sofferenza, che molte imprese non riescono a ripagare. Le banche italiane, soprattutto quelle in cui la politica era ancora centrale, hanno apparentemente prestato molto a soggetti che non hanno saputo impiegare bene questo capitale. Ed è molto significativo che siano le banche venete ad andare peggio, quando il Veneto dovrebbe essere una delle regioni economicamente più forti dell’Italia.
Il “grande malato” è però Montepaschi.
Per Mps vale lo stesso discorso: la Toscana, come le regioni dell’Italia centrale, non è la parte più disastrata d’Italia. Allora bisogna chiedersi come siamo arrivati a questo punto: apparentemente le banche hanno dato troppi prestiti a soggetti che non sono stati capaci di rimborsarli.
Questo non può essere dipeso anche dalla recessione del 2011-12 causata da una forte manovra restrittiva?
Senz’altro, ed è una componente molto importante, ma chiediamoci di nuovo: come mai l’Italia è stata attaccata dai mercati? Come mai l’Italia ha sofferto questa recessione considerando che non aveva il boom creditizio che ha avuto la Spagna?
Lei che risposte si è dato?
Credo che ci siano due ragioni. La prima è che le banche italiane erano piene di titoli di stato del loro Paese. Per evitare il ripetersi di questo problema ha quindi molto senso mettere un limite all’esposizione delle banche verso i bond sovrani. La seconda ragione è che l’economia era debole perché c’era un alto tasso di credito che era stato dato a delle imprese che non facevano profitti, che non erano abbastanza flessibili per cambiare modello e passare dalla vendita sul mercato domestico all’esportazione.
Le banche italiane sono un problema solo per il nostro Paese o anche per il resto d’Europa?
Stanno diventando un problema per il resto dell’Europa. Purtroppo è stato sbagliato approccio. Si poteva dire: c’è un problema in alcune banche italiane, ma ce ne sono altre che sono abbastanza forti. Allora sacrifichiamo le banche più deboli, così quelle forti poi potranno riprendersi e il sistema sarà stabile. Invece si è scelto di dire: facciamo sistema, tutti garantiscono tutti, con i vari fondi Atlante. Questo vuol dire che tutta la barca ha una zavorra importante. Anziché avere barche diverse, alcune che affondano e altre che galleggiano e navigano, si è scelto di legarle, così o si salvano tutte o non ne resta nessuna.
Scegliere di far affondare alcune banche avrebbe però comportato, stante la normativa sul bail-in, il coinvolgimento dei risparmi di diversi italiani…
Sì, ma questo è un problema politico, non economico.
Per concludere, Professore, torniamo al punto di partenza: l’Eurozona ha un futuro?
Per il momento direi di sì. Quando c’è stata una crisi, è stato fatto uno sforzo politico per salvare l’Eurozona. Adesso non c’è crisi e tutti vanno per conto loro, fanno quello che vogliono. Tornerà una crisi prima o poi, questo è chiaro, e a quel punto si dovrà fare di nuovo uno sforzo per salvare il sistema. Naturalmente la probabilità di una crisi sarebbe minore se avessimo una governance più forte, ma purtroppo gli interessi nazionali sono troppo divergenti e la visione nazionale è spesso di breve termine. Perciò, se siamo realisti, su questo punto c’è poco da fare, per il momento. In ogni caso, secondo me, il sistema è abbastanza forte per poter sopravvivere comunque.
(Lorenzo Torrisi)