“Il Mattino di Padova”, “La Tribuna di Treviso” e “La Nuova Venezia” e il “Corriere delle Alpi” – i quattro quotidiani veneti del gruppo Espresso-Repubblica-Stampa – ieri non erano in edicola. I giornalisti hanno deciso lunedì sera una giornata di sciopero perché nei giorni di venerdì e sabato scorsi gli account Facebook delle quattro testate sono stati aggiornati “in diretta” dai luoghi del terremoto da una collaboratrice. Quest’ultima non era un’inviata free-lance, ma (si legge nel comunicato dei comitati di redazione) è “assunta part-time nella redazione di Mestre dal lunedì al mercoledì”. Secondo i giornalisti, quindi, le sarebbe stato tassativamente precluso di lavorare negli altri giorni. Nelle “dirette digitali” dal Centro Italia terremotato, avrebbe comunque lavorato “senza tutele in luoghi pericolosi”. Un “caso palese di lavoro nero” secondo i rappresentanti sindacali interni, che rilevano come la collaboratrice si sia mossa “con l’assenso e il coordinamento della direzione” e abbia poi contribuito con i suoi post alla produzione dei contenuti cartacei. Un caso di “violazione gravissima” – lamentano le redazioni – di accordi sindacali siglati lo scorso giugno giugno, in base ai quali “nessun collaboratore può accedere agli account Facebook dei giornali”. Infine: “La direzione ha mostrato di aver a cuore sempre e soprattutto il volume di traffico web e tutta l’attività che può moltiplicare i contatti internet con i nostri giornali, mentre analoga attenzione non è ancora stata dedicata alla qualità del prodotto cartaceo che – è bene ricordarlo ancora – è l’unico che produce ricavi”.
Al primo lunedì della ripresa post-estiva scoppia dunque qualcosa più di un petardo periferico sul tavolo del riassetto dell’editoria giornalistica, ancora ai blocchi di partenza. Lo sciopero ha fermato quattro quotidiani del Nordest, con molte decine di giornalisti: lo storico nocciolo duro della rete locale Finegil. E il gruppo De Benedetti – che a fine luglio ha formalizzato la fusione con La Stampa – è oggi il “campione nazionale”: anzitutto è quello che presenta i conti meno problematici e continua a manifestare un elevato dinamismo strategico.
I giornalisti veneti del gruppo, non a caso, non hanno scioperato contro un piano di licenziamenti o di sacrifici economici: tanto meno per questioni di linea editoriale o libertà di stampa. Hanno invece usato l’arma più affilata della protesta sindacale su una questione squisitamente professionale ed organizzativa: come e da chi vengono fatti i media oggi e soprattutto come verranno fatti domani?
Ai colleghi che hanno scioperato va certamente il merito di aver rotto il silenzio sul rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei giornalisti: bloccato da più di un anno e – in teoria – soggetto a definizione entro il 30 settembre, a pena di disdetta completa già preannunciata dagli editori della Fieg.
E il più sostanziale dei nodi irrisolti è probabilmente quello che, su un caso specifico, lo sciopero dei quotidiani veneti ha sbattuto sul tavolo: riaffermando che i “giornali” vanno fatti da “giornalisti professionisti e contrattualizzati”, cittadini di una sistema di regole professionali e sindacali ben definite e tendenzialmente poco modificabili. Un sistema che ancora oggi tende a escludere che le notizie su un terremoto nelle Marche vengano trasmesse in Veneto – anche al semplice social account di una testata – da una giornalista non/poco contrattualizzata e magari fuori dal recinto professionale dell’Ordine.
E’ noto invece che nella bozza di nuovo contratto in discussione gli editori prevedono la creazione di una nuova griglia di qualifiche professionali agganciate allo sviluppo dei digital media (verrebbe identificato anche il ruolo di chi – in una redazione – dialoga con gli utenti sui social media). Non è un mistero che gli editori guardino all’inclusione contrattuale del giornalismo digitale – e all’utilizzo di tutta la flessibilità possibile (smart working a domicilio) per aprire nuovi accessi low-cost al giornalismo e avviare un abbassamento strutturale del costo del lavoro giornalistico. E’ un altro dato di fatto che la crisi dell’editoria giornalistica sia altrettanto strutturale: grandi gruppi nazionali come Rcs e Sole 24 Ore hanno i conti in rosso da molti anni. E quando Urbano Cairo – nuovo patron del Corriere della Sera – lascia circolare la voce che il prezzo di vendita del quotidiano potrebbe scendere in parallelo al ridisegno del prodotto, prospetta in un futuro prossimo la rimodulazione radicale dei costi di produzione – anche di quelli giornalistici – fuori dal vecchio mondo cartaceo e ben dentro quello digitale.
I giornalisti veneti della Finegil hanno detto forte e chiaro che loro intendono resistere alle spinte in questa direzione. La democrazia economica è anzitutto questo: tacciarli di essere minatori barricati contro un’ondata di liberismo thatcheriano in arrivo nella media industry tricolore sarebbe scorretto e ingiusto. Sarà però interessante sentire (o magari non sentire) le opinioni delle altre redazioni e osservare infine i comportamenti al tavolo Fnsi-Fieg e soprattutto gli esiti della trattativa. Che, com’è noto, ha un convitato di pietra: il governo Renzi con un decreto editoria pronto ma non ancora votato in Parlamento e non ancora dotato di portafoglio definito. Un provvedimento che vuole sostenere il pluralismo dell’informazione, ma anche lo sviluppo digitale e – ovviamente – l’occupazione giovanile anche in campo giornalistico.