La dichiarazione di Sigmar Gabriel, vice cancelliere tedesco, è di quelle che fanno la storia. Senza enfasi ha dichiarato che il trattato di commercio transatlantico (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, Ttip), che avrebbe dovuto creare la più imponente area di libero scambio mondiale, non ha nessuna possibilità di essere firmato. Non vogliamo essere dominati dagli americani, questo in sintesi il contenuto della dichiarazione di Gabriel.
Si comprende bene la gravità di un tale annuncio solo se si pone mente al fatto che mentre si tagliano i ponti con gli Stati Uniti (almeno così annuncia la nazione più potente d’Europa e tra le più potenti al mondo), la Cina ha raggiunto l’obiettivo che persegue da quando con l’ascesa di Xi Jinping la sua politica estera è cambiata divenendo da difensiva offensiva su scala mondiale, dal Mar della Cina all’Europa. E un obiettivo fondamentale è stato raggiunto con la creazione a Londra della banca per la Via della Seta, che il Regno Unito ha tenacemente voluto nonostante il divieto americano che nessuno ha rispettato, salvo il Giappone, minacciato da questa Cina vicina, troppo vicina e ostentatamente aggressiva.
Non è un caso ma un’astuzia hegeliana della ragione storica che la Brexit abbia dato drammaticamente forma a quella cui stiamo assistendo, che non è nient’altro che una lenta disgregazione dell’Occidente.
Sia chiaro: gli Usa ci mettono del loro per far sì che la disgregazione accada. Per esempio è stato un errore imporre la segretezza sulle trattative sul Ttip, alimentando paure e diffidenze spesso più che giustificate. In un mondo in cui i negoziati commerciali sono sempre meno sui dazi e sempre più sugli standard tecnici e gli aspetti legali dei reciproci obblighi contrattuali, imporre a tutti i partner le regole americane senza mai voler accoglierne qualcuna delle nazioni in gioco altro non è che stolido neo-imperialismo commerciale. E questo in un mondo in cui recentemente Obama ha dichiarato in una già famosa intervista a The Atlantic che gli Usa hanno sempre più bisogno di condividere con partner regionali costi e responsabilità nell’affermazione della sicurezza contro minacce terroristiche  destabilizzanti, come le reazione della Russia alle misure neo-isolazionistiche europee e cinesi nei suoi confronti.
Chi ha seguito la recente attribuzione della gara per il treno ad alta velocità tra Boston e Washington DC, vinta dalla grande multinazionale francese Alstom, non ha potuto non essere colpito dal fatto che neppure un posto di lavoro andrà ai lavoratori francesi, perché tutte le forniture e le prestazioni d’opera dovranno essere nordamericane. Ma gli Usa si rifiutano di applicare una clausola di reciprocità in qualsivoglia parte dell’Atlantico.
E’ ciò che invece son riusciti a fare con il Partenariato Trans-Pacifico (Tpp), a cui significativamente la Cina non aderisce, rafforzando la convinzione che nel commercio valga ancora la politica delle cannoniere, in altra forma rivestita quando si tratta con nazioni ancora deboli.



Mentre il terrorismo e la disgregazione degli stati aumenta il bisogno di sicurezza e di unità dell’Occidente pluralistico ma non debole e indifeso, il blocco delle negoziazioni è un drammatico segnale d’allarme. Possiamo risalire la china nonostante la corsa fratricida della lotta per la presidenza Usa e le elezioni prossime in Francia e in Germania? E’ possibile ritrovare la ragione e l’orizzonte lungo del bene comune? L’Europa senza gli Stati Uniti non è in grado da sola di superare la sua intima debolezza dovuta a un eccesso di diversità culturale e nazionale e di profonda asimmetria economica, resa drammatica da una moneta unica che senza quel “sottostante” fattore strutturale e antropologico, prima che immediatamente politico, si rivela una iattura.
Con la rottura dei negoziati si indeboliscono sia gli Usa sia l’Europa tutta, o almeno ciò che ne rimane. Possiamo acquisirne consapevolezza?

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