Caro ministro Alfano,
Mi rendo conto che come classe dirigente del Paese avete altro a cui pensare: referendum costituzionale, tenuta ed equilibri politici dalla coalizione di governo, emergenza terremoto e non ultimo le sarcastiche vendette verso il Movimento 5 Stelle, caduto nella più classica trappola del puro che incontra uno più puro di lui che lo epura.
Lasci però che le rubi pochi minuti per una questione che mi sta molto a cuore e, penso, stia a cuore a qualche milione di italiani. Come saprà, il 2 ottobre in Austria si terrà il ballottaggio per eleggere il presidente, dopo i brogli che hanno portato a invalidare il voto dello scorso maggio. Bene, in vista di questo importante turno elettorale e al fine di scongiurare un’altra volta — speriamo, in questo caso, almeno con mezzi leciti — la vittoria del candidato della destra, Norbert Hofer, negli ultimi tempi il governo in carica è entrato in tackle scivolato in campagna elettorale, mostrando la faccia dura. L’esecutivo guidato da Kristian Kern avrebbe infatti pronto un provvedimento d’emergenza che prevede lo stop, arrivati a un certo numero, dell’accettazione delle richieste d’asilo, il respingimento di chi arriva e lo schieramento di oltre 2mila soldati ai confini.
I particolari di quanto sta accadendo li ha resi noti l’agenzia Ansa dalla sua sede di Bolzano: il governo di Vienna ha raggiunto un accordo di maggioranza tra i socialdemocratici e i popolari che lo sostengono per un provvedimento urgente che sarà in vigore per sei mesi ma sarà prolungabile per tre volte.
Non si sa ancora quando entrerà in vigore: probabilmente, quando le richieste d’asilo raggiungeranno le 37.500, tetto posto dal governo per l’anno in corso. A quel punto, saranno accettati rifugiati solo in casi eccezionali: se rischiano la vita o la tortura nel loro Paese, se hanno parenti in Austria, se tornare nel luogo da cui sono venuti è impossibile, mentre i profughi saranno respinti al confine. Alle frontiere, infatti, Vienna manderà 2.200 soldati per mettere in pratica le decisioni prese.
Immediatamente, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, Amnesty International e Medici senza Frontiere hanno criticato l’intenzione del governo austriaco con molta forza: “La misura romperebbe un tabù in Europa e significherebbe una rinuncia al diritto d’asilo in Austria. Altri Paesi europei potrebbero seguirne l’esempio”, ha sottolineato Christoph Pinter, a capo dell’ufficio dell’UNHCR a Vienna.
E sempre nella prospettiva di mostrare decisionismo e pugno duro sul tema immigrazione, il suo omologo austriaco, Wolfgang Sobotka, ha detto che Vienna potrebbe portare in tribunale l’Ungheria, perché si rifiuta di riprendersi un certo numero di immigrati che hanno attraversato il confine senza che Budapest li avesse registrati come dovuto.
Peccato che lo stesso giorno del ballottaggio austriaco, anche l’Ungheria andrà alle urne per votare su un referendum — dall’esito già oggi scontato — per stabilire se i cittadini siano disposti ad accettare le quote di profughi a cui dare asilo imposte dall’Ue.
Il tutto, ministro Alfano, con la Svizzera che intende blindare del tutto le sue frontiere per timori di continui accessi dall’Italia e la Francia che sta preparandosi a rafforzare i controlli, scelta anche questa con risvolti politici in vista delle elezioni della prossima primavera.
Egregio ministro, siamo nella classica situazione del collo di bottiglia: ci hanno murati all’interno, chi arriva in Italia, resta in Italia. E stanno continuando ad arrivare, a migliaia, ora persino in Sardegna partendo dalle coste tunisine. L’approssimarsi dell’autunno, poi, potrebbe spingere gli scafisti a massimizzare gli sbarchi per guadagnare il più possibile, prima che le condizioni meteo rendano proibitive le traversate.
Mi permetto di porle una domanda, con il rispetto dovuto al suo ruolo istituzionale: cosa stiamo facendo per evitare di diventare il campo profughi a cielo aperto d’Europa? Mi pare nulla. Anzi, ultimamente le nostre navi vanno direttamente a prendere gli immigrati a poche miglia dalle coste libiche, siamo il servizio taxi gratuito dei mercanti di uomini. E per favore, lei è troppo intelligente per muovermi l’appunto delle ragioni umanitarie e dell’emergenza profughi: i profughi veri, quelli che ottengono lo status in Italia, ad oggi sono il 5% del totale, lo dicono i dati ufficiali del dicastero che guida. C’è poi un 35% che ottiene permessi speciali e temporanei ma il resto sono clandestini, gente che arriva da Nigeria, Gambia, Eritrea, Mali. Arrivano dal Corno d’Africa, dal sub-Sahara, dal Maghreb: non sono profughi, quelli o sono già in Germania dallo scorso anno oppure sono nei lager allestiti da Erdogan al confine turco-siriano, previo lauto pagamento dell’Ue.
E stia certo, caro ministro, che se anche in Austria non vincerà il candidato dell’FPO, la politica di durezza non cambierà, perché l’opinione pubblica sta ponendo una pressione enorme sul governo riguardo questo tema. Mi dirà che non possiamo farci carico da soli di un tema simile e che l’Europa deve fare la sua parte ma io le rispondo, caro ministro, che è inutile che ci prendiamo in giro: in Europa stanno spuntando muri ovunque, in Ungheria al confine serbo e ora anche al porto di Calais. In Europa il numero dei ricollocamenti reali è ridicolo e lo stesso capo del Consiglio Europeo, Donald Tusk, ha detto che la situazione è vicina al collasso a livello continentale, chiedendo aiuto — inascoltato — durante l’ultimo G20 in Cina.
Signor ministro, è ora di agire da soli, unilateralmente, perché Bruxelles parla ma non fa nulla di concreto e i nostri alleati, specie i Paesi confinanti, stanno sigillandosi per diventare impermeabili all’ultima ondata che sta per arrivare. E’ stato di recente a Como? O alla stazione centrale di Milano? O in via Cupa a Roma? Io capisco che un politico sia reticente a dire le cose come stanno, soprattutto se vanno contro il muro del politicamente corretto di cui è baluardo la presidente della Camera, ma la situazione sta per esplodere: se non si fa qualcosa, subito, ci ritroveremo con decine di migliaia di clandestini accampati nelle nostre città e paesi in vista dell’inverno, quando farà freddo e occorrerà trovare — come al solito — soluzioni emergenziali.
Occorre agire adesso e, le assicuro, è già tardi. Il 2 ottobre potrebbe non solo sancire la fine dell’Europa come l’abbiamo conosciuta finora ma anche la condanna definitiva dell’Italia a un futuro da hot-spot europeo. Scusi ma io in un Paese così non voglio viverci, non lo ritengo giusto. Le faccio notare, inoltre, che il 1° ottobre scade l’ultimatum posto dalla Turchia all’Ue per sbloccare i visti liberi per i cittadini turchi che vogliano entrare in Europa: il ministro degli Esteri di Ankara è stato chiaro, se la scadenza non sarà rispettata, l’accordo sui migranti decade. Il che significherebbe la riapertura della rotta balcanica, con migliaia e migliaia di persone che passerebbero dalla Turchia in Grecia e Bulgaria e poi su verso Macedonia e Serbia. Sarebbe il collasso totale. Come stiamo preparandoci a questa evenienza? Cosa si sta facendo per scongiurarla? Non lo chiedo polemicamente ma con preoccupazione, vera, perché mi pare che l’intera classe politica italiana stia pericolosamente sottostimando la portata di questa emergenza.
Mentre i parlamentari si godevano 42 giorni di ferie, gli sbarchi sono continuati a ritmo incessante: questa distonia tra il Paese reale e i suoi rappresentanti è inaccettabile. Non voglio che mi risponda, signor ministro, io non conto nulla. Voglio che chieda conto di questo ai suoi omologhi dei Paesi confinanti e alle autorità europee, attraverso il ministro Gentiloni o il premier in persona, magari. Perché, le assicuro, questa situazione rischia davvero di finire male.