Indubbiamente c’è una forte intesa, oggi, tra la Confindustria e il governo, ma non è senza condizioni: superato il referendum, e soprattutto se dovesse vincere quel “sì” che Renzi e Vincenzo Boccia, presidente degli industriali, sostengono con la stessa convinzione, non si potrà più aspettare neanche un minuto per imprimere una svolta alla politica economica italiana. Questo è il “Boccia pensiero” com’è emerso in tutti gli ultimi discorsi dell’industriale (“sì, mi ripeto, perché tra dare una frase nuova per un titolo nuovo ogni giorno e insistere sui temi-chiave preferisco questa seconda scelta”, dice) e questa è anche l’incognita che grava sui rapporti oggi idilliaci tra l’associazione degli imprenditori e il premier. Il quale da una parte rivendica una serie di misure varate a favore delle imprese — dall’Imu sui macchinari imbullonati a terra agli sgravi sulle imposte sul reddito — che nessuno aveva mai fatto, ma dall’altra ha indubbiamente riservato molta attenzione (e spesa pubblica) a misure dirette invece a gratificare direttamente i cittadini meno abbienti ma portatori di tessera elettorale. Il bonus degli 80 euro a chi guadagna fino a 1500 euro al mese, il bonus per i giovani, gli stessi sgravi del Jobs Act, che se giovano ai conti delle aziende che assumono, parlano al cuore dei neoassunti…



Saprà, Renzi, incrociare davvero i “desiderata” degli industriali con le sue priorità politiche? Forse anche no: dipende. Si vedrà dopo il referendum, è la sensazione. Perché Boccia gioca pesante e dice che 3 miliardi di euro sono il minimo per poter finanziare una politica economica di segno nuovo, capace di incentivare l’offerta di prodotti, e non solo la domanda di consumi. E si sa che Boccia pensa innanzitutto — anche se non solo — al finanziamento degli sgravi fiscali sul salario integrativo, i premi di produzione insomma, quelli che secondo Confindustria dovrebbero diffondersi in tutte le aziende italiane, anche a costo di ridimensionare gli automatismi garantiti dai contratti nazionali (ipotesi verso la quale i sindacati mostrano una nuova “apertura”). Ebbene, Boccia non farà sconti su questo tema; mentre Renzi, che a sua volta deve negoziare euro per euro con l’Unione europea, condivide la linea di fondo confindustriale sui salari di produttività ma vuole anche confermare ed anzi vorrebbe accentuare le misure volte direttamente a sostenere la domanda.



“Non siamo contrari a misure che sostengano la domanda”, ha precisato al riguardo Boccia ieri a Salerno, alludendo ai numerosi interventi di questo tipo, dagli 80 euro ai vari bonus, “ma non determinano un aumento stabile del Pil. Possono anche essere fatti, ma nelle scelte di politica economica, prima di distribuire la torta bisogna farla crescere”.  

Invece, “la nostra idea è chiara, occorre un intervento organico di politica economica con un piano a medio termine che metta la crescita in evidenza, individuando nello sviluppo industriale una grande priorità. Ora, una delle nostre proposte è la detassazione del salario di produttività. Come finanziare le risorse che occorrono? E’ la grande partita da giocare, evitando l’errore indicato da Roberto Perotti, cioè da una parte recuperare risorse con i tagli alla spesa e dall’altra limitarsi a utilizzarle per sostenere la domanda. Dovremo puntare su una politica dei fattori (i fattori di produzione, ndr) per rendere più competitive le imprese e riattivare così il circolo virtuoso dell’economia. Con una semplice politica della domanda non risolvi i problemi! Il deficit che si crea per finanziare la domanda non genera un Pil stabile”.



E’ chiaro il retropensiero di Boccia: alternative politiche affidabili, tanto più dopo i fatti di Roma, oggi in Italia non se ne vedono. Il governo Renzi si dimostra attento nel suo insieme — espliciti gli encomi a Padoan e Calenda — alle logiche dell’impresa, come non era mai accaduto, neanche durante l’esecutivo Monti. E quindi si tratta di scambiare il forte appoggio politico sulle riforme con una linea di politica economica meno elettoralistica e più sostanzialista.

L’assillo di Boccia è il gap di produttività che si è creato tra Italia e Germania, il 30% in meno ai nostri danni. “E viviamo in un’area a parità di moneta per cui, in un certo senso, il Paese forte ha svalutato ai danni del Paese debole. Poi c’è il problema della Brexit: se la sterlina venisse svalutata, sarebbe un danno in più per l’Italia. Per tutte queste ragioni incrementare la produttività diventa essenziale. Siamo consapevoli di non poter chiedere tutto, ma quindi, proprio in una dimensione consapevole, non possiamo che fare delle scelte. La spending review c’entra, eccome, ma se recuperi risorse per fare più spesa e non investimenti non serve. Ripeto: prima occorre crescere e poi distribuire. Dalla logica degli 80 euro si passi al supporto della produttività”.

Renzi è avvisato. E’ un appoggio “consapevole”, quello della Confindustria: ma proprio per questo è un appoggio a termine e reversibile.