Il campionato di calcio è iniziato e le due squadre milanesi, recentemente passate a proprietari cinesi, stanno vivendo un inizio non esaltante. Il Milan sconta il fatto di aver potuto compiere un mercato in stile saldi, visto che – stranamente – gli 85 milioni di caparra per l’opzione di acquisti sono stati versati pochi giorni dopo la fine del calciomercato. L’Inter, ora di proprietà del gruppo Suning, ha invece speso qualcosa come 114 milioni per il mercato, ma almeno nelle prime tre giornate ha scontato il caos generato dal cambio di allenatore a metà agosto.
A fronte delle sempre crescenti domande sulle reali intenzioni di questi magnati cinesi, occorre mettere in fila qualche cifra per capire in prospettiva di cosa stiamo parlando. Cominciamo dal quadro macro dell’economia cinese, di cui proprio ieri sono usciti alcuni numeri interessanti. La banca centrale di Pechino ha infatti emesso 60 miliardi di yuan (8,98 miliardi di dollari) di pronti contro termine con scadenza 28 giorni, di fatto prestiti alle banche commerciali, utilizzando in questo modo uno strumento a più lunga scadenza per iniettare liquidità nel sistema finanziario e intensificando gli sforzi per raffreddare un mercato obbligazionario domestico che ha prosperato grazie a una mare di denaro a basso costo.
La mossa segnala, stando agli analisti asiatici, che la Banca popolare cinese non ha fretta di usare armi di politica monetaria più potenti come i tagli dei tassi di interesse o di incidere sugli obblighi di riserva delle banche. L’ultima volta che la banca centrale ha utilizzato questo strumento era il 5 febbraio scorso, prima della festa nuovo anno lunare, quando di solito i cinesi ritirano dalle banche grandi quantità di contante per festeggiare o effettuare viaggi all’estero. Sempre in Cina, produzione industriale e vendite al dettaglio hanno superato il mese scorso le aspettative di mercato portandosi ai massimi negli ultimi cinque mesi, ma languono gli investimenti fissi realizzati dai gruppi privati, ai minimi negli ultimi quattro anni. La produzione industriale è cresciuta del 6,3% ad agosto contro un’attesa del 6,1%, mentre le vendite retail hanno segnato un aumento del 10,6% rispetto a un anno prima, contro un avanzamento del 10,2% a luglio e un’aspettativa di crescita del 10,3%. Piatti, invece, gli investimenti fissi, cresciuti dell’8,2% ad agosto, contro una crescita dell’8,1% nei primi otto mesi dell’anno.
A preoccupare sono soprattutto gli investimenti privati, che restano ai minimi storici del 2,1%, ad agosto, i valori più bassi dal 2012, quando la Cina ha iniziato la pubblicazione di questi dati; in lieve calo, invece, gli investimenti dei gruppi statali, al 21,4% ad agosto, contro il 21,8% del periodo compreso tra gennaio e luglio 2016. Il forte calo degli investimenti privati ha preoccupato anche il governo centrale, che negli scorsi mesi ha inviato squadre di ispettori nelle amministrazioni locali per sollecitare i governi provinciali a mantenere un atteggiamento favorevole con gli investitori.
Il governo cinese ha puntato sull’incremento della spesa pubblica per stabilizzare la crescita a partire dall’inizio dell’anno: nei primi due trimestri del 2016, la Cina è cresciuta a un ritmo del 6,7%, con segnali di stabilizzazione provenienti, settimana scorsa, anche dalle importazioni, in territorio positivo, ad agosto, per la prima volta dalla fine del 2014. Insomma, più ombre che luci, ma soprattutto una certezza: l’economia cinese è tutt’altro che di mercato, si basa unicamente sull’intervento statale e su qualcos’altro di molto pericoloso. Cosa?
Il grafico a fondo pagina ci mostra la follia in cui si è sostanziata ultimamente la corsa alla fusione e acquisizione da parte di colossi cinesi, mettendo in risalto soprattutto il grado di leverage su cui operano, vista la ratio tra indebitamento e flusso di cassa da mani nei capelli. Ma non importa, perché la logica è proprio quella di acquistare a qualsiasi prezzo, perché interessa solo avere base legale per un trasferimento estero, quindi se gli obbligazionisti comprano debito – di fatto, pagando il conto all’operazione – meglio così. Ed ecco spiegato l’intervento della Banca centrale per raffreddare il mercato interno dei bonds.
Qualche esempio? La Take Zoomlion, un’azienda di macchinari industriali a parziale controllo statale, la cui ratio debito/EBITDA è di 83 a 1. Oppure la Fosun, un vero e proprio acquirente seriale che ha speso 6,5 miliardi di dollari in partecipazioni azionarie in 18 società estere in sei mesi lo scorso anno, il tutto con una ratio debito su flusso di cassa di 1 a 55.7. E non ha comprato cose da poco, perché è entrata nell’azionariato di Circle du Soleil, Club Med e della banca privata tedesca Hauck & Aufhaeser. E che dire della China Cosco Holdings, la quale ha comprato in modalità di svendita garantita dalla troika l’autorità portuale del Pireo in Grecia per 368,5 milioni di euro, promettendo altri investimenti per 500 milioni di euro: il tutto, stando seduta su una ratio debito/EBITDA di 41.5x! C’è poi la Cofco Corporation, la quale ha raggiunto un accordo con il Noble Group attraverso la sua sussidiaria, Cofco International, per acquisire una quota della Noble Agri per 750 milioni di dollari: anche in questo caso, l’acquirente a un rapporto tra debito e cash-flow pari a 1 a 52. Infine la Bright Food, la quale ha comprato il gruppo Weetabix (cereali, biscotti e prodotti per la colazione) per 1,2 miliardi di dollari lo scorso hanno, pur avendo una ratio debito/EBITDA di 1 a 24!
E chi sta partecipando a questo esodo? È presto detto, il 63% del valore degli accordi esteri annunciati a partire dall’inizio del 2015 era mosso da aziende a detenzione chiusa, ovvero non quotate su mercati pubblici regolamentati e accessibili a investitori ordinari, come confermano i dati tracciati da Bloomberg: nei cinque anni precedenti, quella percentuale era del 47%. Gli Usa, poi, sono un altro enorme terreno di caccia per le aziende cinesi. Il gruppo assicurativo Anbang Insurance Group Co. lo scorso aprile ha pagato 6,5 miliardi di dollari per acquisire il gruppo alberghiero Strategic Hotels & Resorts Inc. e i suoi hotel, tra cui alcune proprietà della Four Seasons ad Austin e nella Silicon Valley, dal fondo di private equity newyorchese Blackstone Group, il quale aveva acquisito il pacchetto solo tre mesi prima. Inoltre, sempre la Anbang è il principale offerente per la Starwood Hotel & Resorts Worlwide, il valore delle cui proprietà – tra cui il St. Regis di New York – è valutato oltre i 4 miliardi di dollari: bene, l’ultimo rilancio cinese è stato di quasi 14 miliardi di dollari! C’è poi lo Haier Group che ha acquistato il business delle apparecchiature elettriche dalla General Electric per 5,4 miliardi di dollari lo scorso gennaio, 2 miliardi più di quanto offerto in precedenza dalla tedesca Electrolux AB, prima che la trattativa collassasse per l’opposizione del ministero della Giustizia Usa. E stiamo parlando di colossi veri, non di un consorzio con capitale sociale ridicolo come quello di Sino Europe.
Cosa ci dice questa dinamica? Che i tifosi del Milan non devono stare affatto tranquilli, a mio avviso. Primo, non esiste alcun intervento diretto del governo cinese nel consorzio che ha acquisito il club di via Aldo Rossi, sono alcune aziende partecipanti ad avere parziale controllo statale, ma non significa affatto che le autorità di Pechino inietteranno direttamente denaro nel Milan come scelta strategica. Secondo, come avete visto, proprio perché la gran parte di questi investimenti servono unicamente per avere una base fiscale estera su cui far transitare outflowsdi denaro, al fine di evitare possibili, futuri controlli sul capitale in caso lo yuan andasse fuori controllo, i gruppi cinesi spendono senza problema: se il range di domanda per un asset è tra 5 e 7, loro sparano subito 10 per accaparrarselo. E volete dirmi che i due colpi di mercato come voleva fare il Milan, 25 milioni in tutto, sono stati bloccati dal veto dei cinesi per 25 milioni di euro, ovvero noccioline, a quel livello? La questione è: non hanno soldi o non vogliono spenderli in calciatori?
Terzo, siamo sicuri che una volta firmato il closing della cessione il 5 novembre e girate tutte le azioni del Milan al consorzio cinese, questo vorrà veramente rimettere subito quel denaro nel mercato di gennaio? Io ne dubito, perché nell’accordo con Fininvest si parla di investimenti finanziari e di riassetto di bilancio, oltre che di mercato e visto l’oneroso accollo di debito, dubito che si potrà tentare l’assalto a Cristiano Ronaldo. Il problema però resta, anzi si aggrava: se sono così munifici e intenzionati a puntare sul Milan come eccellenza del calcio mondiale, possono permettersi di buttare via un anno, visto che come paiono messi, i rossoneri faranno fatica ad arrivare in Europa League? Transizione per ripianare e poi si parte alla grande? Me lo auguro, ma il fatto che l’organigramma societario che opererà in Italia sia per ora fatto da un manager cacciato dall’Inter che sta telefonando a mezzo mondo come un cacciatore di teste disperato non depone a favore di un management forte, anzi.
Attenzione, poi, al fatto che i soldi dei cinesi sono sì davvero tanti, ma basati su debito e garanzia statale, basta un venticello nei tassi di interesse e quel denaro potrebbe sparire o restare all’estero, ma non certo per essere usato per acquistare calciatori. C’è da fidarsi di questa Sino Europe? Quest’ultima è la società di scopo creata ad hoc come veicolo per acquistare il Milan. Il suo presidente è Yonghong Li, descritto dalla stampa finanziaria come un raider specializzato nell’acquisto e nella vendita di aziende nel breve periodo, oltretutto già sanzionato dallo Shanghai Stock Exchange: avete presente Gordon Gekko del film Wall Street? Ci siamo capiti. Quale sviluppo, quindi? Seclosing di novembre si perfezionasse, lo scopo di questa nuova proprietà orientale sarebbe quello di quotare il Milan in una Borsa cinese come Shanghai o Shenzen (forse attraverso una fusione con un’altra società di scopo vuota o semi-vuota, la cosiddetta backdoor IPO) per rivendere poi al pubblico retail un pacchetto azionario, non si sa percentualmente quanto grande.
Insomma, profitto sul breve che però porterebbe a un epilogo poco piacevole per il Milan e i suoi tifosi: chi eserciterà il controllo reale ed effettivo sulla società di via Aldo Rossi, dettando le scelte agli altri azionisti, se le azioni verranno piazzate su un mercato retail folle come quello cinese? Tutte domande legittime che speriamo trovino risposte in grandi investimenti e un futuro di vittorie. Per ora, solo opacità.