«Sul Sì al referendum costituzionale si condensano le aspettative di ambienti dell’economia e della finanza che beneficiano di gigantesche elusioni fiscali, trattamenti preferenziali e continui adeguamenti alle indicazioni che arrivano da Bruxelles». È quanto afferma Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Martedì il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, intervenendo all’Euromoney Conferences ha rimarcato le potenziali ricadute economiche del risultato del referendum costituzionale. Per il titolare di via XX Settembre, “la riforma del Senato renderà più celere ed efficace il processo legislativo oltre a ridurre i costi della politica. Votare sì, non solo riduce i costi ma semplifica la macchina pubblica. Un’eventuale bocciatura avrebbe pesanti ricadute sul sistema economico”.



Professor Campiglio, ritiene che il referendum possa avere ricadute per l’economia e quali?

La riforma costituzionale in sé non ha implicazioni economiche dirette sugli investimenti. Ciò che è possibile è che esista un’aspettativa nei suoi confronti da parte di alcuni ambienti economici nazionali e internazionali. Poiché la riforma costituzionale è diventata una conferma o meno della leadership del presidente del consiglio, Matteo Renzi, questi ambienti puntano molto sulla capacità del premier di varare provvedimenti che vadano a loro favore.



A che cosa si riferisce?

La riforma del mercato del lavoro ormai è stata approvata, con tutte le conseguenze che ha comportato in termini di equilibrio non felice di grandi risorse pubbliche. Adesso tutto ciò sta continuando con un intreccio trasparente con la finanza internazionale. Il Monte dei Paschi di Siena sarà risanato da Jp Morgan, mentre ci dimentichiamo di tutti i guai che queste banche d’affari hanno provocato nel corso degli anni.

Quali sono gli ambienti economici che hanno interesse a una vittoria dei Sì al referendum?

Non sto pensando a nessuna Spectre economica a livello mondiale, bensì a situazioni diventate oramai chiaramente insostenibili a livello europeo. Mi riferisco, per esempio, a gigantesche elusioni fiscali, trattamenti preferenziali, continui adeguamenti alle indicazioni che arrivano da Bruxelles nonostante ci siano direttive interne anche da parte del governo che andrebbero in direzione diversa e a volte anche più propositiva. Non bisogna dimenticare che oramai il nostro è un Paese veramente in ginocchio.



Perché ritiene che la vittoria dei Sì agevolerebbe le elusioni fiscali?

L’elusione fiscale consiste nel fatto di pagare meno tasse rispettando la legge. Ci vuole dunque qualcuno che modifichi la legge in una direzione favorevole. È una materia delicata perché alcune imprese, soprattutto quelle medie e piccole, sono oberate da troppe tasse. Le piccole imprese potrebbero pagare tasse normali, se l’ingegneria finanziaria internazionale non consentisse a quelle più grandi di trovare strade che consentano praticamente di non pagarle senza commettere illeciti.

Perché per alcune imprese è così facile praticare l’elusione fiscale?

In Europa abbiamo due esempi preclari di elusione fiscale. il primo è l’Irlanda, che non a caso attrae grandi investimenti esteri, e il secondo è il Lussemburgo, da cui proviene il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. Sono i due “buchi neri” dell’Unione europea. L’Irlanda oramai è una sorta di ponte tra le multinazionali americane e i mercati europei. Quanto questo faccia bene all’economia europea è difficile dirlo. Resta il fatto che la politica dovrebbe pensare al bene del Paese, e non solamente agli interessi di grandi gruppi economici internazionali.

 

Tutto ciò però che cosa ha a che vedere con l’Italia?

Ha a che vedere, per esempio, con quella disgraziata storia della Fiat che è scappata nei Paesi Bassi, ha la sede nel Regno Unito e gli stabilimenti negli Stati Uniti. Sergio Marchionne è un imprenditore particolarmente apprezzato da Renzi: è questo il modello che vogliamo replicare? È questo il tipo di investimenti in cui speriamo?

 

Torniamo al referendum. Se anche vincessero i Sì, chi le dice che il Pd di Renzi avrà la maggioranza alle prossime elezioni?

Non importa quale partito avrà la maggioranza. Se al referendum vincono i Sì, chi vincerà le prossime elezioni dirà: “Adesso per il bene del Paese faccio A, B e C decidendolo da solo”. Io invece mi aspetto che i politici di buona volontà siano coinvolti indipendentemente dal fatto di appartenere o meno al partito maggioritario. La leadership di un partito non può avvenire in beata solitudine, perché siamo in democrazia e vogliamo rimanerci.

 

Questa riforma costituzionale quali effetti avrebbe sui titoli di Stato?

Se il voto fosse a favore dei No, credo che alla fine non cambierà nulla. La Spagna è da otto mesi senza un governo, e l’economia cresce ancora più di prima. Non credo in altre parole che una vittoria dei No sarebbe una fine del mondo come la si descrive.

 

Intanto l’ambasciatore americano, John Phillips , si è espresso a favore del Sì…

In virtù dei legami storici che legano Usa e Regno Unito, anche Barack Obama fece un intervento a favore del “Remain” al referendum britannico. Peraltro non è che abbia avuto un grande successo. Anche l’Italia è un Paese amico degli Stati Uniti, ma vorrei ricordare siamo uno Stato che ha rapporti alla pari con gli altri Stati.

 

(Pietro Vernizzi)