MPS NEWS Dunque è stato Renzi in persona a ordinare al Monte dei Paschi di Siena di defenestrare Fabrizio Viola, ormai ex amministratore delegato della banca, per sostituirlo con Marco Morelli, che di quella banca fu direttore finanziario sotto la gestione Mussari-Vigni, autrice, con la consulenza di Mediobanca, della disastrosa e onerosissima acquisizione della Banca popolare Antonveneta, fonte primaria di tutto il disastro a catena dell’Istituto. Dunque fuori Viola, reo di aver incollato i cocci di quel che restava del Monte, e dentro un manager che aveva cooperato alle premesse del disastro, con la regia del consulente che l’aveva avallato e per eseguire l’ordine del teorico “cavaliere bianco”, destinato a salvare la banca: il colosso americano Jp Morgan. Che ha chiesto la testa di Viola senza “se” e senza “ma”, e l’ha ottenuta. In cambio di niente, ed è questo il paradosso: perché a oggi né la banca, né il governo hanno ricevuto da Jp Morgan alcuna garanzia contrattuale di portare a buon fine l’aumento di capitale alla base del piano di salvataggio.
Ma allora, perché? La risposta è che le banche sono oggi per Renzi il ritratto di Dorian Gray della situazione politica economica del Paese e del governo. Rivelano cioè, purtroppo, senza trucchi tutta la debolezza di entrambi. Piacerebbe ai dietrologi dire che questa ambigua regia politica del caso-Monte nasca dall’intrallazzo: nasce invece soprattutto dall’imbarazzo. Non sanno cos’altro fare. Non avendo ancora la minima certezza di ottenere dall’Europa quella flessibilità che chiedono sui conti pubblici, il premier e il ministro dell’Economia neanche osano pensare di poterne chiedere altra sulla stabilità bancaria.
E sì che il nostro Paese la meriterebbe, avendo voluto fare – per colpa dell’ex Premier Monti – il primo della classe nel 2008-2009 limitandosi a erogare appena 4 miliardi di euro di aiuti di Stato (proprio al Monte, e qualcosa alla Bpm) contro i 247 spesi dalla vera prima della classe, la Germania.
Renzi e Padoan hanno boicottato – questa sì, è una loro responsabilità – il solo profilarsi di una soluzione alternativa, quella presentata da Corrado Passera al presidente (anch’esso uscente, per dignità: e meno male!) del Monte Massimo Tononi. E l’hanno fatto perché considerano Passera un avversario politico: sbagliando, perché collocandosi a Siena Passera si “sterilizzerebbe” politicamente per un bel po’. Ma la verità è che al governo non sono materialmente in grado di inventarsi alternative. Per inadeguatezza? Probabilmente, ma non più grave di quella mostrata dai governi precedenti. Piuttosto per inesperienza (Renzi) e marginalità (Padoan). Hanno ricevuto l’avance di Jamie Dimon, il capo di Jp Morgan – che è comunque la banca numero uno al mondo – osannato dal giglio magico, stimato dai vertici della Cassa depositi e prestiti, datore di lavoro dell’ex vice di Mario Draghi Vittorio Grilli e “coperto” dal consenso della Banca centrale europea e… l’hanno considerato un salvatore.
Ora, pensare che la Jp Morgan possa salvare il Montepaschi è come credere che Dracula sia un donatore di sangue. Figuriamoci. La Jp Morgan vuol solo fare i suoi interessi, ovvio. Semmai vuole spolpare il Montepaschi: ovvero, rimetterne in piedi l’ossatura, ricavando dall’operazione una quantità di denaro imbarazzante (i 600 milioni di provvigioni sarebbero solo l’antipasto) e mollarla al più presto al cosiddetto mercato. Ma tant’è: ormai la crisi del Monte è su un piano inclinato, o va a buon fine il piano Jp Morgan o tutto si sfascia.
Certo, l’alternativa rappresentata dal colosso svizzero Ubs – che sostiene l’ancora viva opzione Passera – è apparsa a tutti più professionale sin dal principio, tant’è che i due correttivi apportati da Jp Morgan e Mediobanca al loro piano originario vanno nella direzione della proposta Ubs-Passera. Ma non sarebbe saggio neanche pensare che gli svizzeri siano la Croce Rossa. Anche loro vogliono guadagnare sul disastro del Monte. La differenza la fa la professionalità e credibilità personale di Passera, sui mercati internazionali: ma l’ex capo di Intesa è un avversario politico, e non se ne parla nemmeno, e qui sta una colpa del governo.
Per il resto, però, il paradosso è che sul fronte bancario Renzi paga per molte altre colpe prevalentemente non sue. Non sta operando al meglio, com’è s’è visto, ma oggettivamente i principali responsabili storici sono altrove. Il mallevadore politico del devastante gigantismo del Montepaschi è stato, per una lunga stagione, proprio l’ex premier e leader Pd Massimo D’Alema, lo stesso che oggi osteggia vanamente (anzi, col suo solo apparire lo aiuta!) l’impegno del premier per il “sì” al referendum. E l’omissore di soccorso alle banche è stato, come abbiamo visto, Mario Monti.
Oggi sul sistema finanziario italiano convergono due interessi: quello della Bce e dell’estabilishment internazionale; la prima paventa una stagione di purtroppo possibili fallimenti a catena, che destabilizzerebbe l’intera Eurozona; il secondo vuole le banche italiane deboli per annettersele e specularci. Quindi l’opzione Jp Morgan è razionale perché coniuga il massimo vantaggio speculativo col massimo interesse politico, tirar via all’Italia un’altra fetta di sovranità. E l’imbarazzo del governo, ben più forte di qualunque intrallazzo, è proprio quello di non avere alternative. Aggravato dal terrore – dopo il precedente delle quattro banche fallite e del tracollo della Vicentina e di Veneto Banca – del possibile divampare di un altro crac.
Se a tutto ciò si aggiunge la pretesa, antiestetica, di dipingere sempre di un roseo positivismo anche le peggiori brutture della situazione, in chiave anti-gufi, si aggiunge alla situazione quel tocco di grottesco che salta agli occhi di tutti.