“La storia si ripete, e gli schemi delle rivalità sono sempre gli stessi: siamo di nuovo allo scontro Germania-Stati Uniti. Per fortuna, stavolta senza bombe, ma con molti gravi danni attuali e possibili in futuro sul fronte economico”: la sintesi del vecchio banchiere sulle notizie dell’ennesimo fronte di scontro aperto tra Europa (leggi: Germania) ed estabilishment americano è drastica ma suggestiva. Anche perché stavolta la nuova aggressione Usa a un’istituzione economica tedesca ha del sensazionale, e anche del grottesco.
Il governo americano vuol far pagare 14 miliardi alla Deutsche Bank per chiudere lo scandalo dei titoli tossici legati ai mutui, i famosi “titoli subprime”, che nel 2007 innescarono, crollando a Wall Street, la crisi finanziaria coronata poi dal fallimento della Lehman Brothers, la stessa che ha paralizzato per otto anni l’economia di mezzo mondo. Dove sta il grottesco? Sta nel fatto che indubbiamente la Deutsche Bank è stata la banca europea più attiva, speculativamente attiva, in questo avvelenato settore di attività. Ma sono state alcune istituzioni finanziarie americane a sguazzarci dentro all’inverosimile, fino a imporre il fallimento dei due colossi immobiliari Fannie Mae e Freddie Mac, due finanziarie para-pubbliche che detenevano il grosso del mercato dei mutui subprime.
Non solo: va anche detto che il concetto stesso di mutuo subprime è molto più americano che europeo. Ricordiamone la natura sostanziale: io signor Rossi (o Herr Schmidt o Mister Smith) compro una casa per 100 mila dollari. Chiedo un mutuo alla banca, e lo ottengo…per 120 mila! per quanto il mio salario mi basti a stento a vivere. Perché la banca mi tratta con tanta generosità? Per due ragioni, una più idiota dell’altra, e in questo tipicamente americani (dove l’idiozia è figlia del cieco e aprioristico ottimismo circa la crescita continua e indefinita dell’economia).
La prima ragione è la fede cieca nell’incremento costante dei valori delle case: per cui, finanziando l’acquirente di un immobile per un importo superiore allo stesso valore d’acquisto, le banche americane scommettevano appunto sul fatto che il valore dell’immobile sarebbe sicuramente e rapidamente cresciuto, e quindi, se anche un domani quel cliente non fosse più stato in grado di pagare le rate del mutuo, vendendo la casa che prendevano in garanzia si sarebbero comunque ampiamente ristorate del prestito.
La seconda ragione è conseguenziale, ma ancora più idiota: quei mutui subprime non rimanevano sulle spalle delle banche che li avevano emessi, ma venivano – come si dice in gergo finanziario – impacchettati con migliaia di altri e scaricati sul mercato dei famosi titoli derivati, o “tossici”, che venivano fatti comprare da ignari risparmiatori per la diabolica abilità di venditori senza scrupoli che li attraevano, come il cacciatore con le allodole, sventolandogli sotto il naso il miraggio degli alti rendimenti che quelle porcherie promettevano. Qui l’idiozia si colorava di speculazione, ma restava pur sempre idiozia, perché avrebbe dovuto essere chiaro anche a dei bambini che quel gioco dell’assurdo non avrebbe potuto durare all’infinito. Come infatti accadde…
Ebbene: questo impasto di ottimismo da gonzi, speculazione selvaggia e idiozia diffusa aveva relativamente risparmiato i mercati europei, ma le banche europee più attive all’estero, prima fra tutte la Deutsche, avevano fatto i loro bravi affaracci, scimmiottando quelle americane. E a crisi scoppiata le autorità statunitensi – bravissime a chiudere la stalla una volta scappati i buoi – hanno inflitto sanzioni e multe a destra e a manca. Spesso di importi irrisori rispetto alle vergognose plusvalenze maturate dalle banche grazie a quelle speculazioni… Ma tant’è.
Per la Deutsche Bank, il “dopo-crisi” non è mai arrivato. Per quanto il governo tedesco abbia avuto il pelo sullo stomaco di iniettare ben 247 miliardi di euro nel suo sistema bancario (a cominciare dalla stessa Deutsche) per farlo resistere alla crisi, la grande banca delle “torri gemelle” di Francoforte – un tempo sinonimo di solidità! – è ancora lì che boccheggia, oppressa da 85 miliardi di euro di titoli tossici che ha in pancia (pressoché uguali al totale delle sofferenze nette del sistema bancario italiano: al quale, per sommo paradosso, oggi Berlino proibisce di ricorrere agli aiuti statali!).
Di qui, da questo pesante coinvolgimento della Deutsche nello scandalo dei subprime, l’attacco degli Usa: “Pagate 14 miliardi di multa”. Una batosta insostenibile, che infatti l’istituto multato tenterà di evitare, e per questo ha già mandato a dire: “Non paghiamo”. Anche perché, pur temendo una forte multa, la Deutsche ha finora indicato di aver stanziato a riserva per far fronte a costi legali poco più di 6 miliardi di dollari, meno della metà della multa comminata. Poi, si sa: il dipartimento di Giustizia americano ha già aperto un negoziato sull’entità della multa (un po’ come l’Agenzia delle Entrate con i nostri maxi-evasori) e un accordo si troverà. Ma sarebbe ingenuo sottovalutare l’incidente.
Al contrario, esso va letto contestualmente ad almeno altri quattro focolai di scontro tra Usa ed Europa (ancora una volta intendendo con “Europa”, sostanzialmente la Germania, che dell’Unione europea è oggi, politicamente, l’indiscussa padrona): il caso Volkswagen, la rottura sul Ttip, l’attacco alla Apple per l’elusione fiscale e il take-over della Bayer sulla Monsanto.
È uno scontro a tutto campo, a ben guardare: una specie di guerra dei mondi. Agli Stati Uniti un’Europa davvero forte non fa comodo, chiunque la guidi: tantomeno, però, se la guidano quei tedeschi che sono figli e nipoti delle uniformi grigie che tante decine di migliaia di giovani americani inchiodarono alle spiagge di Normandia e sugli altri campi di battaglia della Seconda (e Prima) guerra mondiale. Gli americani – un popolo che ancora oggi custodisce un’arma da guerra in ogni casa – non dimenticano. E non si fidano. Avete presente “Salvate il soldato Ryan?” Ecco, è un film-cult di Steven Spielberg di pochi anni fa che ha sbancato i botteghini. Un inno all’eroismo dei marines, un atto d’accusa – l’ennesimo – contro la ferocia nazista.
Inoltre, il colossale surplus commerciale che la Germania ha voluto accumulare svalutando, di fatto, attraverso lo spread, il “suo” euro contro gli altri “targati” dagli europartner, dà noia anche agli americani, e non solo a noi italiani che viviamo nella seconda potenza manifatturiera ed esportatrice d’Europa. E in particolare, i produttori automobilistici tedeschi sono i più accaniti avversari di quelli americani sui ricchi mercati asiatici. Un espansionismo economico che il governo e la società stessa degli Usa non tollerano. Da qui la stangata contro la Volkswagen.
Come del resto gli americani non hanno apprezzato affatto lo “stop” all’accordo per il libero scambio commerciale definito Ttip: è vero che con tutta probabilità noi europei abbiamo ragione a leggere in esso un modo edulcorato per schiacciare moltissime produzioni del Vecchio Mondo sotto il peso della potenza commerciale statunitense; ma a maggior ragione questa difesa dà noia Oltreoceano, dove l’opinione pubblica – almeno quella che si appresta a votare Trump – guarda a tutta l’Europa come a un protettorato.
E ancora: la Apple elude il fisco europeo, ma anche quello americano, che – con ben più energia di quanto abbiano timidamente iniziato a fare alcuni Stati d’Europa – vuol riportare all’erario statunitense i ricchi utili intascati esentasse dalla “casa della mela” grazie alla fessaggine degli europei. E infine: non s’era mai vista una fusione a guida europea così importante come quella con cui il più grande gruppo chimico-farmaceutico tedesco – la Bayer – ha assunto il controllo di un colosso americano il cui nome è sinonimo di Ogm e di agricoltura intensiva, la Monsanto. È uno sfregio apportato in uno degli ambiti economici sui quali gli Stati Uniti hanno per decenni costruito la loro supremazia mondiale, e che viene insidiato da un competitor tedesco.
Quando è troppo è troppo. E cosa può ricavarne, la nostra italietta, da questo scontro tra titani? Come vecchia colonia morale degli Stati Uniti – un’identità oggettiva, recentemente confermata dalla cafonissima invadenza con la quale l’ambasciatore Usa in carica a Roma si è sentito di sponsorizzare il “sì” al referendum costituzionale – può ricavarne solo bene. L’Europa a guida tedesca sta facendo a pezzi la nostra economia. Una Germania ridimensionata dall’aprirsi di un così grave fronte di tensione con gli Usa, potrebbe forse tornare a più miti consigli all’interno della casa europea.