«Il disegno della Germania e degli altri Paesi del Nord Europa è opporsi alle richieste italiane di flessibilità, in modo da fare fallire le nostre imprese e liberarsi così di un concorrente».È la tesi di Claudio Borghi Aquilini, responsabile del dipartimento Economia della Lega Nord e consigliere della Regione Toscana. Ieri i 27 Paesi Ue hanno dato inizio al vertice di Bratislava senza il Regno Unito. Sul tavolo anche la richiesta del governo italiano di una maggiore flessibilità di bilancio, con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha rivendicato: “La stabilità più importante è quella dei nostri figli prima ancora delle regole”. In Germania, però, manca un anno alle prossime elezioni legislative, e per Angela Merkel fare nuove concessioni all’Italia vorrebbe dire alienarsi il favore dei suoi elettori.
Professore, quali soluzioni intravede per il rebus di Bratislava?
Il deficit viene percepito in modo erroneo da buona parte dell’opinione pubblica del Nord Europa come un “paghiamo noi”. In buona sostanza i cittadini del Nord Europa credono che se l’Italia fa un deficit di bilancio, allora a quel punto sta spendendo soldi non suoi. È un errore abbastanza evidente, perché non c’è nessun tipo di trasferimento diretto tra Germania e Italia, anzi l’Italia è un contributore netto dell’Unione europea. Il deficit dell’Italia non è quindi diverso da quello che stanno portando avanti Francia e Spagna.
Perché l’Italia non rispetta il Fiscal compact?
La questione è quella di essere coerenti con le regole. In un modo o nell’altro quasi tutti hanno accettato il Fiscal compact, il quale va nella direzione opposta rispetto alla flessibilità. Anzi, il Fiscal compact prevedrebbe dei surplus, in modo da ridurre progressivamente il debito. Non ci vuole però un genio per capire che non tutti i Paesi possono essere in surplus di bilancio, perché in questo caso ci sarebbe un forte drenaggio di valore dall’economia reale. In una situazione di crescita debole, questo drenaggio inasprirebbe la recessione.
Quindi siamo costretti a scegliere tra debito e recessione?
Non è questa la vera alternativa. Il parametro su cui si basa il Fiscal compact infatti non è soltanto il debito, bensì il rapporto debito/Pil. Non si può quindi pensare che delle manovre recessive possano fare diminuire questo rapporto. Mario Monti paradossalmente ha fatto proprio quello che era richiesto dall’opinione pubblica tedesca. Il risultato è stato un forte aumento del rapporto debito/Pil, e non una sua diminuzione, proprio in quanto le misure di Monti sono state fortemente recessive e hanno fatto scendere il Pil.
Possibile che gli economisti tedeschi non conoscano queste regole basilari?
Dal momento che quanto è chiesto all’Italia è così chiaramente contrario alla logica economica, mi domando se non sia invece un disegno preciso per salvare l’euro e metterci in ginocchio. La Germania è convinta di essere un Paese creditore, e il Paese che le dovrebbe dei soldi, cioè l’Italia, è un suo concorrente economico. Berlino quindi ottiene il massimo del suo interesse facendosi restituire i soldi dal nostro Paese e nel contempo portando a una chiusura delle nostre imprese. Così facendo ottiene il massimo, perché elimina un concorrente.
La Germania sta ragionando come se fosse un imprenditore privato?
In un certo senso sì. È la stessa cosa che farebbe l’Esselunga se fosse creditrice della Coop. L’Esselunga avrebbe cioè interesse a rientrare dal suo credito e fare chiudere la Coop, in modo da andare meglio nei suoi affari. Quanto sta avvenendo in Europa è proprio congegnato in questa direzione. Impedire il più possibile che l’Italia faccia deficit di bilancio serve a preservare l’euro, che è sinonimo di austerità.
Perché l’euro è sinonimo di austerità?
Perché la mancanza di austerità in un Paese debole all’interno dell’Eurozona porta all’esplosione dei deficit commerciali e quindi all’instabilità. Nello stesso tempo grazie all’austerità si fanno chiudere le imprese e si mette in difficoltà l’economia reale italiana. Ogni volta poi si inventano delle misure come i Fondi Salva Stato, i fondi sui migranti o il bilancio dell’Unione europea, in modo da rientrare dai propri crediti. Questo è il disegno della Germania e degli altri Paesi del Nord Europa, ed è ciò da cui bisogna sottrarsi il prima possibile.
Se l’obiettivo dell’austerità è fare fallire le imprese italiane, perché è stata applicata anche alla Grecia che non ha industrie?
La Grecia in ogni caso andava normalizzata, in modo da servire da esempio, in quanto ad Atene c’erano enormi crediti che dovevano rientrare. Le banche tedesche e francesi avevano degli enormi crediti che erano stati concessi proprio partendo dal presupposto che una volta entrata nell’euro la Grecia sarebbe diventata un Paese affidabile. Nel momento stesso in cui Atene è andata in crisi per una gestione assolutamente dissennata della situazione, è partito il recupero crediti più grande della storia.
Con quali conseguenze?
Non potendo tollerare di perdere oltre 100 miliardi di euro con la Grecia, si è trovato il sistema geniale di fare pagare i suoi debiti all’intero “condominio”. Non a caso non c’è una sola banca greca che sia fallita, in quanto sono state messe al sicuro con il Fondo Salva Stati, cioè con i nostri soldi. Al contrario in Italia sono saltate la Banca Etruria, la Banca Popolare di Vicenza, la Veneto Banca e ora anche il Monte dei Paschi di Siena non naviga in buone acque.
(Pietro Vernizzi)