Inizia oggi quella che possiamo chiamare “la settimana del Documento di economia e finanza (Def)” che deve essere varato in forma finale dal Consiglio dei ministri entro il 28 settembre e inviato alle autorità europee per le loro osservazioni. Gran parte del dibattito di politica economica è imperniato sulla finalizzazione del Def; verosimilmente, le scelte chiave verranno effettuate prima del 26 settembre, al fine di disporre di un paio di giorni per mettere a punto il testo.



In effetti, a rigor dei termini, il Def per il i prossimi tre anni è già stato presentato, e approvato dalle Camere, all’inizio dello scorso aprile. Sarebbe più approvato parlare di “nota di aggiornamento”. E una “nota” specialmente importante in quanto da allora a ora l’evoluzione dell’economia è stata significativamente differente da quanto tracciato dal Governo. Mettendo da parte le notazioni (piuttosto inutili) sui decimali di crescita del Pil, in aprile si presentava un’economia in ripresa, leggera ma progressiva, mentre oggi la stessa Confindustria, che pur condivide apertamente le scelte di un Governo a cui fornisce un sostegno esplicito, afferma, analizzando i dati e pubblicando le proprie elaborazioni econometriche, che L’Italia è piatta.



In effetti, nell’eurozona, e nell’Unione europea siamo secondi solo alla Grecia in quanto a debolezza dello sviluppo economia, in bilico tra stagnazione secolare, una nuova recessione o peggio ancora una deflazione di lungo periodo. Il Governo si è aggrappato ad alcuni dati del mercato del lavoro per tentare di dimostrare che parte delle politiche degli ultimi due anni e mezzo stanno avendo un effetto positivo. La sostanza del “balletto delle cifre” è stata esaminata in dettaglio da questa testata. Credo che l’enfasi con cui il presidente del Consiglio ha mostrato alcuni numeri a difesa delle sue tesi abbia recato più danno che vantaggio al Governo, anche in quanto smentita clamorosamente dall’analisi asettica e pacata sulla disoccupazione giovanile presentata dal Centro Studi ImpresaLavoro.



Cosa attendersi dalle discussioni sull’aggiornamento del Def? È probabile che il Governo chieda una dilazione ulteriore del raggiungimento dell’equilibrio strutturale di bilancio che con legge costituzionale rinforzata ci eravamo impegnati a realizzare sin dal 2014 e un nuovo ampliamento del deficit annuale di bilancio (in termini tecnici “indebitamento netto della pubblica amministrazione”).

Se questa è la strategia, dobbiamo augurarci che le autorità europee ce la blocchino. Il deficit non può non alimentare debito pubblico: quello dell’Italia viaggia al di sopra del 130% del Pil e potrebbe ben presto toccare il 140%, mentre quelli di Francia, Spagna, Portogallo e Germania sono al 96,4%, 100,3%, 126,8% e 68,6%. Non solo il debito è un freno alla crescita, ma siamo i più esposti a una turbolenza finanziaria che potrebbe derivare dall’ormai quasi imminente aumento dei tassi d’interesse e dal rallentamento dell’economia internazionale prospettato da The Economist in edicola.

Può il Governo, da solo, adottare una delle strategie di riduzione del debito suggerite in questi anni da Astrid, Italia c’è e altri gruppi e messe confronto dal Cnel in un documento del 2012 ma ancora valido? Ammesso che voglia intraprendere questa strada, ed essere convincente nei confronti dell’Ue, dovrebbe proporla come strategia di un Esecutivo con una maggioranza fragile al Senato e una maggioranza forte alla Camera a ragione di un premio definito “abnorme” dalla stessa Corte Costituzionale.

È una strada che richiede quel sostegno dei corpi intermedi e della società civile per i quali il Presidente del Consiglio non sembra avere molta considerazione.