Secondo il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il secondo trimestre tornerà a essere in crescita. Nel corso di un intervista a Rtl il premier ha infatti osservato: “Penso che ci sarà un segno positivo perché nell’ultimo trimestre i servizi sono aumentati di +1%”. Per Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, “la strada della crescita passa dagli investimenti pubblici, che possono riattivare quelli privati e produrre un effetto volano su reddito e occupazione. Al contrario tagliare le tasse sulle imprese come richiesto da Confindustria porterebbe benefici molto più incerti e indiretti”. Una ricetta ben diversa da quella che, intervenendo al Meeting di Rimini, aveva proposto il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: “Se riuscissimo a fare delle operazioni selettive sulla produttività e sugli investimenti privati, diamo una linea di politica economica che determina anche quale industria del futuro vogliamo definire”.
Professore, condivide le priorità indicate da Boccia per quanto riguarda la prossima legge di bilancio?
Il punto di partenza deve essere quello di restituire spinta alla crescita. Per farlo non si può fare conto sugli investimenti privati, perché la domanda interna è crollata, e occorre quindi un programma di investimenti pubblici. Questi ultimi hanno un effetto moltiplicativo molto veloce sull’occupazione e sul reddito e diventano volano per mettere in movimento molte cose. Nell’arco di sei mesi possono fare ripartire anche la macchina degli investimenti privati, e con essa portare maggiore occupazione e miglioramenti innovativi e tecnologici.
Quali sarebbero invece i benefici di un taglio dell’Ires?
Una riduzione delle tasse produrrebbe effetti molto più incerti e indiretti rispetto a un programma massiccio di investimenti pubblici. Per non parlare del fatto che rischiamo di ripetere gli errori rovinosi degli anni Trenta, quando dopo la crisi del ’29 si ridussero i salari sperando di fare ripartire l’occupazione.
Diversi media anglosassoni e il premio Nobel per l’Economia, Joseph Stiglitz, sostengono che il referendum italiano rischia di destabilizzare l’Europa. È così?
Questa è una minaccia greca. Se davvero i poteri forti europei cercassero di condizionare l’esito del referendum, sarebbe un segno destabilizzante in quanto significherebbe che le fondamenta della casa europea erano già corrose da tempo. Mi auguro che ciò non avvenga.
Eppure sul referendum si giocano anche le sorti del nostro governo…
Un referendum non può essere un plebiscito pro o contro il capo del governo, che peraltro di recente lo ha finalmente riconosciuto. Renzi ha infatti dichiarato che un conto è l’esito del referendum e un altro la durata del governo in carica.
Lei come legge la marcia indietro di Renzi?
A mio parere la marcia indietro di Renzi è stata sollecitata dai cosiddetti poteri forti che non vogliono avere un quadro in movimento, se non a proprio beneficio. Renzi ha dimostrato di rispondere molto bene alle richieste dei mercati internazionali, in particolare quelli dei capitali, e in questo senso è stato una garanzia.
Che cosa accadrebbe se dovessero vincere i No?
Se dovessero vincere i No si troveranno altre modalità, spero più semplici, per coinvolgere i cittadini rispetto alla modifica della Costituzione. In ogni caso la posta in gioco del referendum non è l’analogo italiano della Brexit. Stiamo casomai chiamando i cittadini a esprimere il loro punto di vista su una riforma molto delicata e complessa. Se vogliamo negare la sovranità popolare sulla scelta della Costituzione, stiamo tirando un po’ troppo la corda: sarebbe uno strappo davvero esagerato. La sovranità popolare di un Paese va rispettata, e non si vede perché ciò non possa avvenire anche per l’Italia.
Dopo il referendum cambierà lo scenario politico nel nostro Paese?
Sia che vinca il Sì, sia che vinca il No, l’Italia continuerà a essere un membro dell’area euro e le elezioni politiche si terranno regolarmente nel 2018. A quel punto di tratterà di capire come collegare lo snodo del referendum con l’eventuale prospettiva di elezioni. Onestamente la mia percezione è che ci troviamo già da un po’ in una situazione di incertezza interna, legata a un clima elettorale che finisce con l’essere anche cattivo consigliere ostacolando l’approvazione di manovre che possano finalmente fare riemergere il Paese in modo stabile dalla situazione in cui ci siamo messi.
Nel frattempo la Brexit affida all’Italia l’opportunità di essere il terzo Stato Ue più importante dopo Francia e Germania?
Valuto come un progetto ambizioso l’idea che l’Italia possa prendere il posto della Gran Bretagna in un trio composto anche da Francia e Germania. Dopo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna è infatti il secondo partner commerciale della Germania. Quando si parla di Brexit quindi non si deve dimenticare che formalmente ci sarà l’uscita, ma nella sostanza Berlino troverà modalità alternative per conservare un interscambio fondamentale con Londra. Nei fatti quindi il Regno Unito non uscirà dall’Ue, ma diventerà una sorta di convitato di pietra.
(Pietro Vernizzi)