Il debito pubblico italiano cresce più del Pil ed è arrivato oltre il 130% del Pil stesso. Per riuscire a sostenere questo peso, l’Italia dovrebbe crescere almeno del 2,5-3% annuo, mentre nel 2016 sta puntando verso lo 0,7% e nel 2017 si teme arriverà attorno allo 0,5%. Ciò indica, senza riduzioni del passivo e/o incrementi dell’attivo, una traiettoria verso il fallimento dello Stato.
L’evento catastrofico potrebbe avvenire in qualsiasi momento se il mercato che ogni anno compra circa 400 miliardi di nuovo debito per permettere allo Stato di ripagare i titoli giunti a maturazione percepisse la mancanza di un’azione di risanamento e/o di un garante di ultima istanza. La Bce, con il suo programma di acquisto dei debiti europei, sta operando di fatto come garante, ma tale azione avrà termine nel 2017. Se nel frattempo l’Italia non segnalerà la capacità di compensare con la crescita o con una riduzione secca di parte del debito la passività, il costo di rifinanziamento diventerà insostenibile, facendo implodere l’Italia, rischio che gli investitori stanno già scontando deprezzando le azioni delle banche.
Nel 2011-12 questo problema fu risolto dall’impegno di garanzia della Bce e dalla firma dell’Italia del Fiscal compact dove si impegnava a tagliare il debito per consistenti aliquote annue e a non produrre nuovo debito attraverso il pareggio di bilancio. Tale misura di austerità soffoca la crescita e rende comunque insostenibile il debito. Da un lato, Renzi ha fatto bene a dichiarare a Bratislava, in divergenza con la Germania, che il Fiscal compact non ha futuro. Dall’altro, ha fatto una mossa azzardata perché la ribellione contro la garanzia europea senza l’annuncio di un programma di riduzione sovrana del debito e di maggiore crescita segnala al mercato che la catastrofe potrebbe essere più probabile, rendendo debolissima l’Italia.
In conclusione o Roma avvia un progetto credibile di riduzione sovrana del debito oppure, alla fine, dovrà accettare i diktat rigoristi, come successo nel 2011, o peggio. Tale progetto è possibile in due modi: patrimonio privato o pubblico contro debito. Il primo implica tasse patrimoniali che distruggerebbero l’economia. Il secondo, invece, implica la vendita di 400-500 miliardi di beni statali (immobili, partecipazioni, concessioni) che ci sono e che è possibile usare, con una formula intelligente e graduale, per abbattere di altrettanto il debito e, proporzionalmente, la spesa annua per interessi di 16-20 miliardi contro i circa 70 attuali che tolgono risorse per investimenti e vera detassazione stimolativi.