Il Pil dell’Italia crescerà dello 0,8% sia nel 2016 che nel 2017, anziché dell’1,2% nel 2016 e dell’1,4% nel 2017 previsti dal governo. È quanto risulta dall’Economic Outlook dell’Ocse, che ha aggiornato al ribasso le previsioni sulla crescita del nostro Paese. L’Italia risulta nettamente indietro rispetto agli altri grandi Paesi europei. L’Ocse stima un +1,8% per il 2016 e un +1,5% per il 2017 in Germania, un +1,3% per entrambi gli anni in Francia e un +1,8% e +1% nel Regno Unito. Per Guido Gentili, editorialista ed ex direttore de Il Sole 24 Ore, «servirebbe una scossa alla crescita basata su tagli significativi alla spesa e di conseguenza alle tasse, ma per farlo bisogna intervenire sugli sprechi delle Regioni. Nell’immediato lo ritengo impossibile, mentre in prospettiva ciò potrebbe avvenire se fosse approvata la riforma costituzionale che fa chiarezza sulle competenze degli enti locali».



La Legge di bilancio 2017 può essere l’occasione per rilanciare il Pil?

La Legge di bilancio potrebbe essere l’occasione per il rilancio dell’Italia a condizione di essere centrata sulla crescita. Al momento però non sappiamo ancora quali saranno le caratteristiche della manovra. Abbiamo avuto un dibattito intenso sulle pensioni, mentre lo stesso non è avvenuto sulle misure per la crescita. È chiaro che quando si parla di pensioni sono in gioco previdenza ed equità sociale, tanto che il governo ha deciso di accordare un intervento sulla quattordicesima delle pensioni più basse. Il problema però è che cosa si intenda fare per quanto riguarda l’offerta e le misure per la crescita.



Lei come valuta le misure fiscali che dovrebbero essere inserite nella manovra?

Sul fronte delle tasse, il governo ha confermato l’impegno a tagliare l’Ires. Andranno inoltre eliminate le clausole di salvaguardia che farebbero scattare l’aumento dell’Iva, e ciò comporterà una spesa pari a 15 miliardi di euro. C’è l’intenzione di favorire la crescita delle imprese finanziando l’industria 4.0 (relativa al mondo digitale, Ndr). Sappiamo inoltre che probabilmente si insisterà sulla strada del superammortamento fiscale che si è dimostrato particolarmente positivo. Ci sono quindi dei segnali, ma in assenza di misure ben più forti non riusciremo a uscire dalle sabbie mobili di questa bassa crescita.



Che cosa dobbiamo aspettarci?

La crescita nel 2016 sarà dello 0,8-0,9%, e quindi siamo tornati agli stessi livelli del 2015 quando abbiamo registrato il +0,6%. Questo è un dato molto preoccupante, perché siamo rientrati nell’area dello “zero virgola”. Dobbiamo tenere inoltre conto della deflazione che ha effetti negativi sul rapporto debito/Pil e deficit/Pil. La mancanza di una spinta da parte dell’inflazione deprime la crescita creandoci dei problemi ulteriori. Occorrerebbe un’inversione a U della strategia del governo, con una scossa fiscale degna di questo nome.

Il governo intenderebbe mettere nero su bianco il taglio dell’Irpef, ma solo per il 2018. È una mossa credibile?

Nell’estate si era vagheggiato che si potesse anticipare il taglio dell’Irpef al 2017, ma non ci sono state le condizioni per farlo. Ora il governo ha confermato che l’impegno rimane, ma per il 2018. Lo stesso vale per il cuneo fiscale sul lavoro, un altro tema di cui parliamo da anni, ma che al momento rimane escluso dalla Legge di bilancio 2017 e che quindi è rinviato al 2018. In realtà, il governo sta ancora lavorando alla nuova manovra, che dovrà poi essere sottoposta alla Commissione Ue. Per ora però non vedo quella scossa fiscale forte che potrebbe dare il segno di un’inversione di tendenza.

 

Di che cosa ci sarebbe bisogno?

Il mio auspicio è che si riesca a tagliare la spesa e nello stesso tempo ad abbassare le tasse. Sarà però difficile ritoccare l’Irpef, se non in misura molto ridotta, in quanto non ci sono gli spazi per farlo. Perché ciò possa avvenire i tagli di spesa dovrebbero essere molto consistenti, ma finora non ci sono stati.

 

Tagliare la spesa ha sempre effetti negativi sui consensi politici. Lei dove andrebbe a mettere le mani?

Ogni volta che si tenta di ridurre il perimetro dello Stato, si vanno a toccare interessi consolidati con effetti anche elettorali. Questa è la nostra palla al piede che ci trasciniamo da decenni. Ma con una spesa che supera il 50% del Pil, e che anche a livello regionale mostra sempre più dei buchi clamorosi, mi stupisce il fatto che non si riescano a realizzare dei tagli significativi. La riforma della contabilità degli enti locali ha evidenziato un buco sommerso da 33 miliardi. Una spending review presupporrebbe quindi un intervento molto più incisivo sui bilanci delle Regioni, e questo secondo me non ci sarà.

 

La riforma costituzionale interviene anche sui poteri delle Regioni. Quale impatto avrebbe in termini economici?

Alcuni rappresentanti del governo hanno stimato che la riforma del Titolo V farebbe risparmiare 500 milioni l’anno, mentre secondo altri analisti la somma sarebbe molto più bassa. In realtà, dalla riforma non dobbiamo attenderci un risparmio di spesa immediato, bensì in prospettiva. Nel primo anno dopo l’entrata in vigore della riforma i risparmi saranno limitati a qualche decina di milioni per la riduzione delle spese del Senato. Mentre tagliando il nodo della legislazione concorrente Stato/Regioni, riducendo i contenziosi, velocizzando l’attività legislativa, porteremo a casa dei risultati. Ciò avverrà comunque nel tempo e in termini di qualità, e non invece nell’immediato.

 

(Pietro Vernizzi)