Bastano pochi numeri per illustrare la diffidenza che accompagna l’Italia in avvio d’autunno. Innanzitutto lo spread. Mica la forbice che separa le emissioni italiane dal Bund tedesco, comunque drogato dall’attenta guardia della Bce. Ma quello che separa i titoli italiani dai Bonos spagnoli, per tanto tempo ritenuto meno affidabili di quelli del Bel Paese. Ma non di questi tempi: lo spread tra le emissioni Madrid e quelle tedesche viaggia sotto i 100 punti (98,20 bp), quelle italiane sono staccate di 126 punti abbondanti. Ovvero, il distacco a favore della Spagna è attorno ai 28-29 punti, ai massimi storici. 



Eppure la Spagna, appena graziata dall’Ue per il mancato rispetto dei vincoli di fiscal policy, viaggia in acque agitate: il Paese è senza governo quasi da un anno, sembrano inevitabili nuove elezioni anticipate. E la minaccia del separatismo catalano è sempre più reale dopo il successo della Brexit. Nonostante questi handicap, la Spagna riscuote più fiducia di noi. I motivi? 



In parte il merito è di un tasso di crescita del Pil che si aggira sul 3% a fronte dello striminzito 0,8% accreditato all’Italia dall’Ocse. Il macigno del debito pubblico, inoltre, pesa di meno sulle spalle del bilancio spagnolo (nonostante il forte aumento dallo scoppio della crisi in poi) rispetto alla mole del passivo di casa nostra, una zavorra che potremmo iniziare a neutralizzare solo con un tasso di crescita annuo del Pil di almeno il 2%. Al contrario, tutti i dati macro segnalano un peggioramento. 

Non stupisce in questo quadro il giudizio negativo dei mercati che si scaricano sul sistema bancario, ma non solo: i cdo sull’Italia, da quanto si legge sui terminali di Bloomberg sono cresciuti di tre volte rispetto a sei mesi fa. Non meno eloquente il ritardo della Borsa italiana sugli altri listini che, si legge nell’analisi di Intermonte, “si è fortemente allargato dopo lo scoppio della crisi Lehman nel 2008 mentre, salvo pochi anni, la sottoperformance rispetto agli altri mercati è diventata praticamente strutturale”. Per queste ragioni la finanza (e l’economia) del Bel Paese rischia di attraversare una stagione particolarmente turbolenta. “A parte gli eventi cosiddetti ‘sistemici’, che comprendono il referendum sull’abolizione del Senato, le elezioni presidenziali Usa, gli esiti del meeting Opec e le decisioni della Fed sul possibile rialzo tassi a dicembre – si legge ancora nel report di Intermonte -, riteniamo che valga la pena fare attenzione anche ai seguenti eventi specifici sul mercato italiano”.



In particolare, gli analisti sottolineano l’importanza di: 

A) l’esito del voto dell’assemblea straordinaria della Banca Popolare di Milano. Una bocciatura della fusione con il Banco Popolare avrebbe un impatto molto negativo sul settore e sulla credibilità politica del governo Renzi, che ha fatto della riforma delle banche popolari uno dei suoi punti di forza. Un esito favorevole invece avrebbe un impatto positivo sul processo di consolidamento, visto il sentiment particolarmente negativo che permane sulle banche;

B) i dettagli sulla manovra finanziaria 2017: l’entità dello stimolo all’economia, e il conseguente probabile sforamento dei parametri deficit/Pil imposti dall’UE, daranno la misura della forza negoziale dell’Italia in questo momento di auspicate politiche espansive che aiutino la ripresa economica;

C) le caratteristiche dell’aumento di capitale di Mps: al di là del timing, che dovrebbe essere ragionevolmente nei primi mesi del 2017, è molto importante avere i dettagli sulle condizioni di finanziamento e sulla strutturazione della tranche di mezzanino legata alla cartolarizzazione delle sofferenze per capire il grado di impegno che le banche finanziatrici sono disposte a mettere nell’operazione.

È anche in questa chiave che vanno interpretate le preoccupazioni delle banche centrali, a partire dalla Bce. Non solo il Bollettino economico dell’istituto ribadisce che “il Consiglio direttivo ricorrerà a tutti gli strumenti disponibili nell’ambito del proprio mandato” mentre i comitati tecnici si riuniranno per “valutare le opzioni possibili allo scopo di assicurare l’ordinata attuazione del programma di acquisto di attività dell’Eurosistema”. Accanto a queste attività che fanno parte dell’attività tipica dell’istituto prende corpo un’attività di monitoraggio delle riforme mancate o troppo spesso rinviate che riguardano la politica dei vari Paesi. In vista di una “moral suasion” che non potrà certo assolvere la strategia italiana della flessibilità, per cui gli investimenti si fanno solo con nuovo debito.

Non è buona politica predicare il pessimismo e così drammatizzare situazioni difficili ma governabili. Ma un richiamo al realismo non può far male. Le banche centrali hanno appena riconfermato la politica dei tassi bassi che ha garantito un’estate tranquilla ai mercati finanziari. “Ma quello che è tranquillo non è necessariamente solido”, ammonisce Alessandro Fugnoli. “La borsa di New York – scrive – è sostenuta, più che dagli utili, dal Qe europeo e giapponese. Molti grandi gestori che prevedono tempi cupi (tra i negativi ci sono grandi maestri come Soros, Gundlach, Tudor Jones e Paul Singer) aspettano forse le elezioni e il rialzo dei tassi di dicembre prima di attaccare. Anche i fondamentali sono più fragili di quello che sembra. La riaccelerazione americana non è così forte, la Cina e l’Europa appaiono in crescita regolare, ma le fragilità strutturali sono sempre lì. I grandi problemi globali dell’eccesso di debito e della produttività a crescita zero non si sono allontanati di un millimetro. Anche il quadro geopolitico ribolle sotto una superficie che appare solo increspata”.