Che il modello europeo sia malfatto non implica, però, che i limiti allo sviluppo dell’Italia dipendano principalmente da questo. Ci vorrebbe un’operazione verità: l’Italia si trova male negli eurovincoli perché, da decenni, non riesce a produrre un sufficiente ordine istituzionale ed economico. In particolare, non riesce a darsi un modello economico adatto alle specificità nazionali.
L’antropologia economica italiana, specialmente nel settentrione, è caratterizzata da un marcato attivismo imprenditoriale diffuso. Non dimentichiamoci che l’Italia, Cina a parte, è la più antica economia strutturata industrialmente del pianeta e che nel 1300-400 era il centro del sistema economico europeo. Questa lunga storia ha seminato nella cultura popolare un marcato attivismo imprenditoriale e mercantile per trasmissione famigliare: il più dell’Italia è un luogo di capitalismo naturale, un po’ anarcoide ma vivacissimo.
Questa società entrò in una crisi, a metà del 1500, per debolezza dei piccoli Stati, che durò per secoli, ma senza modificarne l’attivismo. Nei primi anni del ‘900, infatti, l’Italia fece un balzo industriale sorprendente, giustificabile solo dalla storicità delle competenze residenti. Il punto: poi, negli anni ‘20, le furono imposti un modello statalista, il Fascismo, e dopo il 1945 uno democratico che però non modificò la natura statalista del modello stesso, peggiorandolo sul piano della libertà economica con un capitalismo di Stato a elevata inefficienza.
L’operazione verità dovrebbe svelare che il modello italiano è un residuo di Stato sovietico che soffoca il potenziale di attivismo economico della nazione e alloca in modi improduttivi il capitale. Per questo l’Italia si trova male in un’Europa che, al netto dei difetti, richiede alle nazioni un’elevata efficienza economica.
In settimana il governo aggiornerà i programmi stimolativi, alcuni promettenti come il 4.0, e negozierà con l’Ue più spazio di deficit per finanziarli. Ma sarà concesso solo un minimo, probabilmente 5 miliardi, in un clima di sfiducia per la poca crescita e alto debito.
Maledetta Europa? Sarebbe meglio annunciare l’avvio di un nuovo modello nazionale basato sull’attivismo della società, lasciandole più soldi e libertà e drenandone meno per l’apparato statale. In numeri significa iniziare a trasferire, gradualmente, circa 120 miliardi dalla spesa improduttiva del modello statalista nelle tasche di chi sa rendere il denaro produttivo. Questo segnale, e non quello di fare più debito senza cambiare l’inefficienza, aumenterebbe la fiducia sull’Italia. E in Italia.