Le cifre lasciano il tempo che trovano, un tempo che purtroppo nell’ultimo anno ha provveduto a smentire quelle previste dodici mesi fa. Ma quel che colpisce – in positivo, per quanto possa anche sorprendere per ragioni opposte – è l’energia politica, ma anche personale, che Matteo Renzi ritrova dopo ogni curva, dopo ogni scossone. Bravo o non bravo che sia, simpatico o antipatico, il presidente quarantenne non molla. È questa la vera “percentuale” sicuramente in crescita, tra le tante snocciolate ieri sera, nella nota di aggiornamento al Documento economico finanziario approvata dal Consiglio dei ministri: la sua tenacia.



Si era al termine di una giornata che il premier aveva iniziato al San Raffaele di Milano per una visita istituzionale e che gli era servita per rassicurare sugli investimenti nella sanità. E di lì a poco, sempre da Milano, aveva rilanciato una sfida clamorosa, al cui confronto la diatriba con la sindaca grillina di Roma Virginia Raggi su “Olimpiadi sì-Olimpiadi no” sembra un giochino da bambini: il Ponte sullo Stretto di Messina, che per Renzi va fatto affinché unisca la Calabria e la Sicilia tra loro e, insieme, al resto del Paese, creando centomila posti di lavoro… Il tutto condito da battutine calcistiche, motti di spirito, il consueto tono da boy-scout felice che torna da una bella gita.



Eppure la crescita nel 2017 si attesterà all’1%, secondo le nuove previsioni del governo, ben sotto l’1,4% precedentemente indicato, come del resto sta accadendo quest’anno, allorquando, sempre secondo il governo, il Pil salirà solo dello 0,8%, contro l’1,2% stimato ancora ad aprile… E allora, tutto quest’ottimismo? È nel Dna del premier: non è calcolo, è carattere. E di per sé non è certo un male. Peccato che la ruota non giri come dovrebbe. 

Poi, per carità, a voler fare i sofisti, l’esposizione che Renzi fa dei freddi numeri è a volte funambolica, come quando il premier dice che “il debito scende, ancorché rimanendo sostanzialmente stabile”, intorno al 132%, dal 132,8% al 132,2%. Quasi un ossimoro: scende o resta stabile, questo debito? O quando dice che il deficit quest’anno si attesterà al 2,4% del Pil, anziché al 2,3% come precedentemente previsto, e nel 2017 salirà dall’1,8% previsto a quota 2%. E dunque?



Dunque, Renzi va avanti. La stella fissa del 4 dicembre, col referendum istituzionale, brilla un po’ meno di prima: comunque vada la consultazione, lui non se ne andrà. Ha, come si dice, “spersonalizzato”. Sta lavorando alle elezioni politiche del 2018, la prima scadenza nella quale potrà presentarsi agli elettori direttamente, e farsi votare come capo del futuro governo… E la sensazione è che tutto sia proiettato a diciotto-venti mesi…

Sia Renzi che il ministro dell’Economia Padoan, accanto a lui nella conferenza stampa notturna (“abbiamo seguito la sua linea di prudenza”), evitano di aggiungere nuovi accenti polemici verso l’Unione europea, dopo i tanti – piuttosto sterili – dei giorni passati: “Sul fronte dell’indebitamento netto pensiamo che ci possa essere un ulteriore 0,4% e su questo chiederemo l’approvazione al Parlamento e verificheremo le scelte da fare da qui alla legge di stabilità”. L’idea in realtà è di portare a casa non ulteriore flessibilità, ma un margine di manovra di circa 6-7 miliardi, scorporando dal Patto di stabilità le spese eccezionali per la ricostruzione post terremoto e per l’emergenza migranti. Padoan fa eco a Renzi: “Il profilo (dei conti, ndr) non viene cambiato”, nel senso che l’obiettivo del pareggio di bilancio resta fissato al 2019: primo anno della prossima legislatura.

E parlando della legge di bilancio – in discussione a ottobre – il premier conferma l’aiuto sulle pensioni (“quanto grande questo intervento sia lo decidiamo nella legge di bilancio”) e il “quadro di riduzione fiscale. Le singole misure le decidiamo in legge di bilancio”. Ma dove li troveranno, questi soldi in più? Nessuna manovra straordinaria, neanche privatizzazioni “a svendere” (i cui introiti, oltretutto, per legge europea devono andare a ridurre il debito e non a finanziare il deficit): “Non svendiamo, non abbiamo bisogno di svendere in questo momento. È una posizione di buonsenso”. 

Dopo settimane di dati economici negativi – ancora ieri, con il crollo del 10,8% degli ordinativi industriali – Renzi ha dunque trovato la determinazione per rassicurare che non verranno attivate “clausole di salvaguardia, che le tasse non aumenteranno (se ne temevano di nuove per 15 miliardi) e che nella manovra vi saranno le misure per la competitività e il superammortamento”: tutti provvedimenti a sostegno degli investimenti, come anche gli interventi su previdenza e welfare: “Ci permetteranno un guadagno di crescita, visto che l’ambiente internazionale non solo rimane poco favorevole, ma sta peggiorando e che l’euro nell’ultimo anno si è apprezzato”, corrobora Padoan.

Riecheggiavano sinistramente, nella sala stampa di Palazzo Chigi, le recentissime proiezioni economiche del Centro studi della Confindustria, che hanno dipinto il futuro prossimo italiano con tinte assai meno rosee: in particolare, per viale Astronomia il Pil del 2016 crescerà solo dello 0,7%, ma, soprattutto, nel 2017 andrà ancora peggio, con un aumento di appena lo 0,5%. 

C’è da sperare che i fatti inchiodino la Confindustria a un ruolo da gufo. Sarebbe sorprendente se si considera che l’associazione è schiettamente filogovernativa, oggi, soprattutto rispetto alla sfida totale del referendum. Come sarà interessante – e determinante – monitorare le reazioni europee alla prossima legge di bilancio. Sarà il momento di tornare alle cifre nude e crude, sfrondate dal condimento di quell’energia positiva renziana, non più contagiosa come un tempo, ma ancora incontenibile, quando il gioco si fa duro e il premier decide di sedurre. Se solo alle parole seguisse l’appoggio della congiuntura…