La novità politica del recente terremoto è che il governo non si è limitato a predisporre la ricostruzione dell’area, ma ha preso l’impegno, annunciando il progetto “Casa Italia”, di rendere antisismico tutto l’ambiente costruito nazionale che si trova in condizioni di vulnerabilità simili a quelle riscontrate nei comuni polverizzati.
Si tratta di circa il 70% degli edifici e di quasi metà del territorio italiano, secondo stime della Protezione civile citate in occasione d’interviste, ma non riportate in comunicati ufficiali. In attesa di precisazioni, comunque si tratta di un enorme impegno. Forse i commentatori non hanno enfatizzato la novità perché la ritengono infattibile e si aspettano più parole che fatti.
Invece andrebbe enfatizzata puntando l’attenzione sulle condizioni di fattibilità e sull’evidenza che è in gioco il diritto costituzionale di tutela della vita, della salute e della proprietà. Se non ci fosse una mappa dei rischi, mancherebbe lo strumento per calcolare come rispettare tale diritto. Ma c’è. Noto il rischio, un disastro non è un accidente, ma un evento di mancata prevenzione. Incubo per un governo, ma anche pressione per fare cose difficili.
Quanto costerebbe? Le prime stime indicano un impegno di 4 miliardi all’anno per 20 anni. Però bisogna considerare che la gradualizzazione dell’intervento pone problemi. Per esempio, in un’area classificata come oggetto di intervento, ma messa in lista, per dire, al decimo anno, i valori immobiliari, il turismo e gli investimenti saranno depressi per l’evidenza di un rischio non annullato, così generando un disastro economico peggiore.
La soluzione è rafforzare tutto e subito il sistema a più alto rischio, cioè aprire un cantiere totale, gradualizzando gli interventi solo nelle aree a rischio minore. Possibile?
Tecnologie innovative ci sono e la loro applicazione a scala ne può ridurre i costi, le aziende fornitrici possono essere rafforzate per reggere il picco di domanda, l’organizzazione amministrativa per regolare il macrocantiere può essere montata.
Soldi (mia stima): almeno 70 miliardi statali per lavori di sicurezza da farsi entro 5 anni più altri 40 per operazioni residue e infrastrutturali in un decennio. Dove prenderli? Inevitabilmente da un deficit di bilancio classificato come investimento di sicurezza che se l’Ue negasse si troverebbe in contrasto con la Costituzione italiana. Ma non sarebbe un deficit economico perché tale megainvestimento nel settore costruzioni trainerebbe una prolungata e forte crescita del Pil. Progetto difficile, ma fattibile e utile.
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