E’ arrivata la troika. Ma non quella ufficiale di Bce, Commissione Ue e FMI, è arrivata quella vera, quella cattiva. Ne dava notizia ieri MilanoFinanza, il quale sottolineava che dopo quello di giugno che ha condotto inaspettatamente alla Brexit, adesso tocca all’Italia fare i conti con un referendum che alla fine di novembre ci porterà alle urne per cambiare parte della Costituzione e che potrebbe avere ricadute economiche importanti.
Gli investitori stranieri, infatti, hanno gli occhi puntati su quello che potrebbe accadere, tanto più che l’esito delle votazione molto probabilmente deciderà il futuro del sistema bancario italiano. Chi lo dice? Goldman Sachs, la quale ha redatto sul tema un lavoro di ricerca corposo che vede la possibilità del No, ad oggi, al 40%. Non è preponderante, scrivono gli economisti della banca d’affari americana, ma soggetta a una vasta area di indecisi che a ridosso del referendum faranno la differenza, così come accaduto nel Regno Unito.
E come per il Brexit, anche in caso di vittoria del No ecco che la prospettiva di cavallette e piaghe d’Egitto prende forma. Per Goldman, infatti, ci sarebbe un duplice effetto: da un lato il timing è fondamentale, visto che il referendum avrà luogo con ogni probabilità a fine novembre (domenica 20 o 27), in concomitanza con il difficile e complicato aumento di capitale di MPS. Operazione che, stando agli economisti, non si concluderà prima, perché gli investitori vogliono aspettare per capire come voterà l’Italia.
Se Renzi vincesse, allora potrebbe salvare molto più facilmente la banca senese. Se non vincesse, nessuno rischierebbe di scendere in campo per un aumento di capitale oneroso in un quadro politico generale incerto, anche nel caso che il premier Renzi restasse fino allo scadere naturale del mandato, nel 2018. E il mancato aumento di MPS, a cascata, si ripercuoterebbe su tutto il sistema bancario italiano e su altri rafforzamenti di capitale.
E’ vero? Assolutamente no, ma state certi che il report di Goldman Sachs verrà utilizzato d’ora in poi come una clava dal fronte del Sì, il quale però si guarderà bene dal dirvi altro sul sistema bancario. Ma ve lo dico io, tranquilli. E’ infatti di martedì la notizia in base alla quale siamo in presenza di un nuovo semestre in rosso per la Popolare di Vicenza. L’istituto veneto, passato sotto il controllo del Fondo Atlante a seguito dell’aumento di capitale da 1,5 miliardi, ha riportato nei primi 6 mesi dell’anno una perdita di 795 milioni di euro complice la rottura con Cattolica Assicurazioni e accantonamenti vari. Evviva, i primi 795 milioni messi a disposizione da banche private e Stato, attraverso Cassa Depositi e Prestiti, sono allegramente finiti giù per lo sciacquone.
Cosa significa? Che nonostante le pulizie di bilancio che hanno anticipato l’aumento di capitale, la quantità di immondizia presente negli stati patrimoniali di quegli istituti è enorme e serviranno almeno cinque, sei Atlante di entità ben maggiore di questa per rimettere le cose a posto, prima che un nuovo cda cominci a erogare nuovamente prestiti allegri ad amici e parenti. E stiamo parlando di Popolare di Vicenza; avete idea le proporzioni differenti che hanno le grane di MPS? E il problema sarebbe la vittoria del Sì al referendum? Perché mai? Matteo Renzi ha già detto che comunque si voterà alla scadenza naturale nel 2018, cosa cambierebbe? Cosa pensate, che quei cuor di leone della minoranza Pd facciano davvero cadere il governo e le loro diarie? Ma per favore, non ci credo nemmeno se lo vedo Cuperlo che leva la fiducia. E poi, le quattro banche salvate con ilbail-in non sono forse state prese per la collottola in quella che era una situazione ultra-emergenziale, visto che si è deciso di tosare gli obbligazionisti di domenica, altrimenti il lunedì non avrebbero riaperto le filiali? In cosa differirebbe la situazione, in caso di vittoria del No?
Le questioni base sono due e soltanto due: reperire i soldi da mettere e avere l’ok di Bruxelles, punto. La Boschi e la sua riforma non pesano affatto sulla questione, nemmeno di striscio. Ma quanto fatto da GS ha duplice valenza: da un lato spaventare e spingere a votare per il Sì, dall’altro trovare anticipatamente un capro espiatorio in caso di incapacità di risollevare le sorti della banca senese, dovendo magari ricorrere a un bel bail-insulle subordinate. E guarda caso, un paio di giorni fa, il quotidiano La Stampa, noto per solide entrature governative, ha pubblicato un articolo nel quale si palesava l’ipotesi del ricorso al fondo salvastati (e banche) ESM per MPS, lo stesso già usato per le banche spagnole e per gli aiuti finanziari a Grecia, Irlanda, Cipro e Portogallo.
L’utilizzo del fondo ESM per il salvataggio delle banche è sottoposto alla sottoscrizione di un memorandum of understanding tra il governo che avanza la richiesta di aiuti e le autorità europee, dove vengono stabilite le condizioni (e le contropartite) per l’erogazione del prestito da parte del fondo. Anche se per il momento ci troviamo solo nel campo delle ipotesi, il ricorso al fondo ESM sarebbe politicamente poco sostenibile in quanto, di fatto, si tratterebbe di un commissariamento dell’Italia da parte delle autorità europee. E questo aspetto rischia di assume ancor più rilevanza in vista del referendum del prossimo autunno.
Ovviamente, a stretto giro di posta il governo ha smentito l’ipotesi con un comunicato ufficiale, ma intanto è stata messa sul piatto e si sono tastate le reazioni a caldo. Goldman Sachs, con il suo report, sta solo portando acqua al mulino della paura emergenziale del governo sul tema banche: non sanno come uscirne, se non cedendo all’arrivo della troika a Roma e allora cominciano a spargere panico e mettere le mani avanti, dando la colpa a chi ha votato No per l’arrivo di ispettori e controllori vari.
A confermarlo il fatto che, a detta di GS, esisterebbe anche un lato positivo della medaglia, anche in caso il referendum venisse bocciato. Per la banca d’affari Usa, infatti, l’assist arriva da Mario Draghi e dalla Bce, la quale ormai si trova a corto di obbligazioni europee da acquistare e che a quel punto dovrà spostare l’attenzione verso i Paesi periferici dell’Eurozona, come l’Italia. Per questa ragione gli economisti non si attendono un’impennata dello spread fra Btp e Bund. Il mio articolo di ieri è sufficiente a sbugiardare questa panzana sesquipedale. Poi, però, un sussulto di dignità e un po’ di realismo. Per GS, bontà loro, lo scenario italiano resta comunque difficile, visto che che gli assets rischiosi iscritti nei bilanci bancari italiani sono significativi, sia come crescita storica che rapportati ad altri Paesi europei: al netto degli accantonamenti, i non-performing loans netti sono 87 miliardi (circa il 5% del Pil), mentre i bad loans sono doppi. L’Italia, inoltre, è il Paese europeo che ha venduto buona parte delle obbligazioni bancarie alla clientela retail, con il beneplacito dei dormienti eterni di Bankitalia. Stando ai dati di Moody’s aggiornati al terzo trimestre del 2015, le famiglie italiane hanno in portafoglio il 40% dei bond emessi dagli istituti di credito: parliamo di un valore quattro volte più elevato rispetto alla Germania e otto volte più alto di Spagna e Francia. Non vi pare che ci sia qualcosa di sistemicamente sbagliato nel sistema bancario italiano, altro che referendum?
Stando ai dati pubblicati da Banca d’Italia, a valore facciale, gli italiani posseggono un terzo dei 600 miliardi di euro di bond bancari e la metà dei 60 miliardi di bond bancari subordinati. A questo riguardo, Goldman Sachs scrive che l’applicazione delle regole europee sul salvataggio delle banche, entrate in vigore nel 2016, richiede ilbail-in di almeno l’8% delle passività bancarie totali come pre-condizione per accedere ai fondi di risoluzione. Et voilà, il futuro che ci attende è scritto. Ed ecco il capolavoro di propaganda filo-governativa di Goldman Sachs: se quel bail-in si sostanziasse, si avrebbe un impatto sociale molto forte in Italia, con effetti politici importanti. Se invece il governo Renzi dovesse vincere il referendum anche per un solo voto, “riceverebbe un via libera a proseguire la sua agenda politica di riforme, così come richiesto dall’Europa e molto apprezzata dagli investitori internazionali”. Giuro che non l’hanno scritto la Boschi o la Madia, l’ha scritto proprio Goldman Sachs. La stessa banca d’affari nella quale ha lavorato e di cui è stato responsabile per l’Italia e l’Europa, dal 1988 al 2006, Claudio Costamagna, attuale numero uno di Cassa Depositi e Pestiti: piccolo il mondo, non trovate?
Cari lettori, il futuro è segnato, non state a studiare per capire cosa votare, non seguite i dibattiti: è già tutto scritto, è già tutto deciso. La troika è già qui, pronta a benedire con una carezza sul capo la prosecuzione dell’esecutivo Renzi e a massacrare i nostri conti — pubblici e correnti — in nome dell’Europa che ce lo chiede. Capito perché tanto chiasso e tanto monopolio dell’informazione per il caso Raggi-M5s? E ve lo dice uno che i grillini non vuole vederli nemmeno in fotografia ma quando è troppo, è troppo.