Antonio Patuelli non ha il profilo dell’incendiario, né del rivoluzionario. Parlamentare liberale per 11 anni, fino al ’94, è stato anche sottosegretario di Stato alla Difesa con Ciampi, appunto fino al maggio del ’94. E nelle sue attuali vesti di presidente dell’Abi sta appunto confermando questa spiccata attitudine alla difesa. Onore al merito: in quest’epoca di “vilipendio renziano dei corpi intermedi”, per cui l’associazionismo è diventato tutto fanghiglia, tirar fuori la grinta con cui Patuelli sta difendendo i suoi colleghi banchieri asini o corrotti attaccando i loro clienti asini o corruttori è onorevole. Eppure, eppure… sarebbe una grinta degna di miglior causa, perché la proposta – surrealmente avanzata “a titolo personale”, come se invece di essere il presidente dei banchieri, chessò, il presidente dei ristoratori o dei veterinari! – di costruire la “gogna bancaria” dei primi cento clienti insolventi delle banche salvate dallo Stato somiglia pericolosamente alla scelta di una difesa calcistica in affanno di mandare la palla in tribuna per fermare il gioco.
Intendiamoci: i banchieri italiani non sono affatto peggiori dei loro colleghi europei. Mediamente, appartengono tutti alla stessa categoria di sopravvalutati, potenti per caso. E hanno comunque perfino loro un debole diritto alla difesa. I nostri non hanno grandi colpe in fatto di “titoli tossici”, perché se quella porcheria su cui la Great America ha costruito la crisi globale del 20008 – seguita da tedeschi, inglesi e perfino olandesi e francesi – da noi non ha attecchito non è stato per la lungimiranza guardinga dei nostri banchieri, ma perché la ghiotta offerta di titoli di Stato italiani rendeva qui meno appetibili che altrove quello strano kamasutra finanziario. I nostri invece hanno ampie colpe sul boom delle sofferenze. Colpe nel non aver vigilato; colpe per aver accettato, o sollecitato, favori in cambio di prestiti; colpe anche per aver troppo spesso capito Roma per Toma in materia di merito di credito e aver quindi finanziato gli immeritevoli.
Non deve essere certo il Sussidiario, visto che si parla di Monte dei Paschi di Siena, a ricordare la voragine da 600 milioni di euro che la sola Sorgenia ha scavato nei conti senesi: abbiamo già molto dato. E sul Corriere il bravo Mario Gerevini, senza aspettare la gogna bancaria, ha scritto che a Siena hanno fatto seri danni anche l’immobiliarista Giuseppe Statuto, che pure era stato lambito dalla stagione de “furbetti del quartierino”, o i costruttori Mezzaroma, per breve tempo celebri alle cronache in quanto suoceri di Mara Carfagna, o la Risanamento (nome paradossale) di Luigi Zunino o ancora il costruttore calabrese Antonio Muto. Quel che conta è che su 27 miliardi di sofferenze ben 10, oltre un terzo, sono state generate da soli 100 clienti. Quindi cento madornali errori, evitando i quali la banca oggi non sarebbe nei guai, pur avendo fatto tutti gli altri.
È come se il bancario medio – al netto delle corruzioni pur non rare – fosse stato affetto da una sorta di sindrome di Stoccolma: sei grande, sei potente, ti dico di sì. Già da tempo Unimpresa ha riclassificato i numeri sulle sofferenze bancarie generate dalle diverse categorie di clienti rivelando che a fine 2015 6000 clienti, pari allo 0,48% del totale, avevano causato 72 miliardi di sofferenze su 201, pari a oltre il 33%.
Cosa aggiungere? Pubblichiamoli pure i nomi dei primi cento clienti insolventi, sai quanto si vergogneranno, essendo già abituati a essere segnati a dito in quanto tali. Pubblichiamoli, anche perché non basterebbero pagine di giornale o di web per pubblicare l’elenco delle migliaia di banchieri e bancari asini, che hanno individuato sul mercato 6000 grandi falliti per finanziarli a piene mani con i soldi nostri. Pubblichiamoli pur sapendo che neanche tra essi mancherà qualcuno fallito sul serio, cioè per disgrazia, per un rovescio del destino, per una commessa andata male, per un problema di economia reale, che finirà esposto in una brutta compagnia. Ma tant’è. Però non servirà a migliorare le cose per il futuro: mentre qualche antidoto andrebbe pur trovato per neutralizzare, da domani, questo genere di veleni. Clientoni immeritevoli innaffiati di prestiti, da una parte; e dall’altra gente comune strangolata da tassi quasi usurari.
Ma la campana delle riforme necessarie in materia di credito suona non tanto per la magistratura ordinaria – davanti alla quale è stato contestato pochissime volte il reato di “mendacio bancario” che commette il cliente il quale simula meriti di credito o garanzie che in realtà non ha – quanto per la Consob e soprattutto per la Banca d’Italia. L’asfissiante perché iperburocratica vigilanza dov’era, e a che pro ispezionava e metteva a soqquadro gli istituti se poi non interveniva per tempo in questi casi patologici? Lo stesso Draghi, valoroso promoter di quel po’ di ripresa europea che c’è e che si deve al suo Quantitative easing, dov’era quando, da governatore della Banca d’Italia, autorizzava l’acquisto della Banca Antonveneta da parte del Monte dei Paschi per 9,5 miliardi di euro, che è come pagare una Fiat Duna quanto una Rolls Royce?
Quindi è difficile riscaldarsi e prendere partito, in questa bega della gogna bancaria: perché i cento furboni insolventi possono ben essere sp****nati in pubblico, in fondo se lo meritano e prevedibilmente si beccheranno nient’altro che qualche ortaggio sul balcone – e speriamo che nessun disperato gli spari, se no poi andiamo a chiederne conto a Patuelli. Ma quali ortaggi meriterebbe di planare sui balconi dei bancari che li hanno finanziati? E dei loro capi, banchieri? E dei capi dei loro capi, gli azionisti delle fondazioni bancarie e dei fondi d’investimento, che dormivano o, peggio, spesso facevano strafinanziare se stessi e poi non pagavano, senza mai sentirsi opporre il più flebile dei “no” dai loro dipendenti? Insomma, il più pulito, in questa storia, ha la rogna. E a volte il falò in piazza non basta a chiudere i conti con il passato. Occorre riscrivere le regole, e possibilmente non lasciarle scrivere ai tedeschi, che sarebbe peggio ancora.