L’Europa è, di fatto, ferma. E la notizia, di per sé già poco confortante, presenta l’aggravante del fatto che la Bce sta facendo di tutto per riattivare un minimo di battito cardiaco all’economia reale. Non certo con misure strutturali, ma, unicamente, tenendo in vita aziende pressoché decotte di cui però si comprano i bond senza guardare a fondamentali e rating: quei soldi vanno in ricerca e sviluppo, miglioramento della produzione o assunzioni? No, a tappare le falle di bilancio. La Bce, di fatto, sta regalando i nostri soldi a gente che non dovrebbe fare l’imprenditore, perché condannato dai numeri, ma lo fa ugualmente perché non esiste più alcuno strumento di mercato atto a dividere i buoni dai cattivi: siamo tutti uguali, la Bce ha imposto l’Unione Sovietica finanziaria all’Europa. In perfetto stile Goldman Sachs, liberale nell’approccio ma unicamente inteso ad arricchire l’1% che conta, nei fatti. 



Il problema è che la percezione che abbiamo dell’Europa è distorta da report come quello pubblicato ieri e stilato dall’Istituto di studi e previsione economica tedesco, l’Ifo, l’Istituto francese Insee e la nostra Istat, relativo appunto all’outlook economico dell’eurozona. E cosa dice? Nei primi due trimestri dell’anno è previsto un aumento dello 0,4% del Pil dell’area euro, in linea con il dato del quarto trimestre dello scorso anno e la crescita dovrebbe essere particolarmente sostenuta in Germania, Francia e Italia e guidata dai consumi privati e pubblici. Ora, io capisco che sui giornali vada a finire tutto e senza verifiche, ma quale ubriaco può pensare che l’Italia vedrà una crescita grazie ai consumi privati e pubblici? Ma quale mondo descrivono? 



Stando ai tre istituti, guardando ai prossimi mesi la produzione industriale è attesa in crescita a un ritmo quasi costante grazie alla ripresa degli investimenti e al miglioramento della domanda estera. Inoltre, l’utilizzo della capacità produttiva ha segnato livelli più elevati ultimamente, prefigurando una fase di ripresa significativa degli investimenti delle imprese in macchinari e attrezzature: stando alle stime, gli investimenti totali dovrebbero salire dallo 0,7% del quarto trimestre dello scorso anno allo 0,8% del primo trimestre 2017 per poi registrare una lieve decelerazione a +0,6% nel secondo trimestre dell’anno. Certo, migliora la domanda estera, ma ci sono un paio di criticità. 



Primo, la Germania sta sì investendo molto ma lo sta facendo dopo 13 anni di dumping monetario in cui ha utilizzato l’euro come clava per disintegrare la concorrenza in Europa: pensate che sia un driver di trend continentale, questo? Secondo, i tre simpatici istituti stanno scordando una variabile minuscola, risibile nella loro illuminante analisi: l’amministrazione Trump, la quale si insedierà il 20 gennaio, a occhio e croce come prima cosa farà di tutto per evitare un ulteriore rafforzamento del dollaro, vero balsamo per la domanda estera di cui beneficiano le aziende europee, tedesche in testa. Pensate che uno come Trump si farà scrupoli a usare ogni mezzo nella prossima guerra commerciale globale? Uno che prima ancora di arrivare alla Casa Bianca già parlava di dazi e tariffe e che, guarda caso, sta già incassando investimenti esteri spaventosi in tutti i settori, automobilistico in testa. Pensate che la Bce potrà molto, a fronte di una Germania con l’inflazione core all’1,7%, per contrastare questa nuova dinamica? Pensate che alla Bundesbank interessi davvero la prosperità dell’eurozona o solo quella della Germania? 

Mario Draghi ormai è ai titoli di coda con il Qe, anche perché sta perdendo efficacia in un Continente che vedrà salire l’inflazione per dinamiche interne di un solo Stato, la Germania con i suoi aumenti salariali e il conseguente aumento della spesa privata (e quindi dei prezzi) e che a livello globale sconta la guerra di offset tra l’inflazione preventiva indotta dalle politiche promesse da Donald Trump e la deflazione esportata dalla Cina? Non fatevi illusioni, siamo destinati ad anni di depressione economica. 

Ma andiamo avanti con il report, ci vuole un po’ di buonumore. A detta dei tre istituti, le condizioni di finanziamento, sia per le famiglie sia per le imprese, rimangono molto favorevoli e i tassi di interesse privati dovrebbero rimanere sugli attuali livelli minimi. Inoltre, il miglioramento dei consumi delle famiglie potrebbe trarre beneficio delle condizioni favorevoli del mercato del lavoro e dell’aumento del potere di acquisto, solo parzialmente limitato dalla ripresa dell’inflazione. Questo perché, ipotizzando che il prezzo del Brent rimanga stabile a 56 dollari per barile con un tasso di cambio intorno a 1,05 dollari per un euro, l’inflazione è stimata in accelerazione dallo 0,7% del quarto trimestre dello scorso anno all’1,5% nei primi due trimestri del 2017. 

Ora, riprendendo il ragionamento di prima, come si può parlare di inflazione dell’eurozona all’1,5% nei primi due trimestri di quest’anno, se un’economia non proprio residuale come l’Italia è ancora in deflazione e con un mercato del lavoro devastato da politiche scellerate come quelle del Jobs Act? Facciamo salire i consumi dei privati con i voucher, forse? Se sì, auguroni. La narrativa di questo report è la narrativa tedesca, visto che loro sono già sopra quel livello di inflazione e non aspettano altro che mettere Mario Draghi all’angolo, obbligandolo a un tapering degli acquisti che risulterebbe come colpo fatale: già, perché senza il vigoroso massaggio cardiaco della Bce, sostituito dal pannicello caldo di una carezza, siamo sicuri che aziende con il rating alle soglie del junk potrebbero ancora finanziarsi con emissioni obbligazionarie monstre? E cosa faranno in alternativa, andranno a chiedere i soldi alle banche, talmente terrorizzate dalle sofferenze da aver congelato i prestiti? Dico congelato pur sapendo che il dato non è a zero, ma lo faccio perché ragiono sempre in prospettiva, ovvero con quello che sta facendo la Bce dovremmo assistere a un diluvio di liquidità per famiglie e imprese. Ma siccome le banche hanno giocato troppo con bond, derivati e attività finanziarie, quei soldi servono per il maquillage dei bilanci da far certificare alla stessa Bce che li trucca con il finanziamento back-door. Sembra Matrix ma è la realtà. 

E ancora, stando al report finora l’andamento dell’economia della zona euro non ha risentito in modo particolare degli esiti dei referendum in Gran Bretagna e in Italia. Infatti, dopo una decelerazione del Pil della zona euro dallo 0,5% nel primo trimestre allo 0,3% nel secondo trimestre 2016, l’output è aumentato con la stessa intensità anche nel terzo trimestre a +0,3%: la produzione industriale è invece aumentata dello 0,4% sia nel secondo sia nel terzo trimestre. I consumi, sia privati sia pubblici, sono stati i principali motori della crescita nel terzo trimestre 2016, mentre gli investimenti nello stesso periodo hanno subito una decelerazione su base trimestrale dall’1,2% allo 0,2%: quanto al commercio estero, non ha fornito un contributo significativo alle economie dell’area. 

Ops, allora non è tutto una Fantasilandia? E sapete perché l’economia dell’eurozona non ha risentito del Brexit e del nostro referendum costituzionale? Primo, perché i fatti parlano chiaro: il Brexit non ci sarà. Come spiegare, altrimenti, le dimissioni dell’ambasciatore del Regno Unito presso l’Ue, un uomo che se è andato sbattendo la porta in faccia a Theresa May, dicendo chiaramente che stante l’impostazione attuale ci vorranno dieci anni per attivare l’articolo 50? Sveglia, Londra non ha fatto un singolo passo in quella direzione e con la crisi che l’amministrazione Trump farà precipitare sull’eurozona, dubito che Commissione e Consiglio Ue avranno tempo da perdere con una non priorità, visto che comunque l’Alta Corte darà l’ok alla ratifica parlamentare del voto popolare e Westminster ribalterà l’esito delle urne. Per quanto riguardo la vittoria del “No” in Italia, non vale nemmeno la pena dilungarsi: hanno messo un governo fotocopia al posto dell’esecutivo Renzi, quali contraccolpi avrebbe dovuto subire l’economia? Zero eravamo e zero siamo, i mercati lo sanno da tempo. 

Ed ecco il capitolo finale del report delle favolette. Per i tre istituti, l’incertezza politica rimane comunque elevata sia negli Stati Uniti sia in Europa. Istituite e conferite loro immediatamente il Nobel per la geopolitica, per favore. In particolare, «i punti interrogativi riguardano i dubbi sulle politiche del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, i negoziati sulla Brexit, gli sviluppi del referendum in Italia, così come le imminenti elezioni nei Paesi Bassi, in Francia e in Germania». Inoltre, «la situazione precaria di diverse banche italiane rappresenta un ulteriore fattore di rischio in questo scenario. Quest’incertezza potrebbe avere un effetto negativo sulle decisioni di investimento delle imprese, condizionando l’intensità della ripresa del processo di accumulazione del capitale». Questa è l’analisi economica in Europa, questo è quello che troverete oggi sui giornali. Che dire, forse andiamo incontro a ciò che meritiamo.