Ieri sera l’agenzia di rating canadese Dbrs ha tagliato il rating sul debito pubblico dell’Italia, portandolo da A a BBB. Si tratta di una decisione certamente con un alto valore simbolico, dato che Dbrs era rimasta l’unica agenzia di rating ad aver mantenuto una A sul nostro Paese, ma che avrà anche conseguenze pratiche. Vediamo però prima le motivazioni che hanno portato Dbrs a cambiare il proprio “voto”. Sembra che ad aver influito nella decisione sia stato il risultato del referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre e anche quanto sta avvenendo alle nostre banche. Per Dbrs nel nostro Paese pesa “l’incertezza sulla capacità politica di proseguire il suo sforzo di riforma e la persistente debolezza del sistema bancario, con l’alto livello di crediti non performing che pesano sugli istituti di credito”. Per quanto riguarda i crediti deteriorati, si ritiene che siano a un livello ancora molto elevato, capace di “compromettere la capacità del settore bancario di agire come intermediario finanziario per sostenere l’economia. In questo contesto, la bassa crescita ha comportato ritardi persistenti nella riduzione del debito, lasciando il Paese più esposto agli shock”. Secondo il ministero dell’Economia e delle Finanze, la decisione di Dbrs “non avrà impatti rilevanti sulla spesa per interessi sul debito pubblico. Potrebbero esserci degli effetti sui titoli più a breve, ma si potrà dire soltanto nei prossimi mesi”. Qualche effetto potrebbe esserci invece per le banche: aver tolto la A ai nostri titoli di stato, rende più oneroso il loro utilizzo come collaterale per ottenere liquidità dalla Banca centrale europea. Il taglio del rating non arriva certo come una sorpresa per gli analisti, che negli ultimi giorni ritenevano molto probabile l’evento. Ricordiamo che Standard & Poor’s ha un rating sull’Italia pari a BBB-, Moody’s pari a Baa2, mentre Fitch paria a BBB+.



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