Secondo l’Eurozone economic outlook, elaborato da Istat, Ifo e Insee, nel quarto trimestre del 2016 il Pil dell’area euro dovrebbe far segnare un aumento dello 0,4% e nel primo semestre di quest’anno la crescita dovrebbe proseguire con lo stesso ritmo. Restano delle incertezze politiche sia negli Stati Uniti (con l’insediamento della nuova amministrazione Trump), sia in Europa (con le elezioni in Francia, Germania e Olanda), che potrebbero spostare al ribasso queste stime. «Se l’orizzonte non economico resta invariato è plausibile una crescita di questo tipo. Che purtroppo resta insufficiente», ci dice Mario Deaglio, Professore di Economia internazionale all’Università di Torino.



Come mai Professore?

La produttività non aumenta in maniera consistente, quindi c’è pochissimo spazio per un incremento dell’occupazione. Avremmo bisogno di una crescita più sostenuta per far sì che ci sia un orizzonte in cui la disoccupazione in eccesso, rispetto a un normale 4-5%, venga assorbita. Se non arriviamo a questo continueremo a essere un malato alle prese con una convalescenza molto lunga che non dà prospettive di una guarigione definitiva.



Che cosa occorrerebbe per avere questo tipo di crescita?

Bisogna che qualcuno investa, visto che il tasso di investimenti continua a crescere troppo poco. Occorre poi allentare i freni del deficit pubblico, perché se si vuole crescere bisogna poter avere per qualche anno un livello maggiore di quello previsto dal Patto di stabilità e crescita europeo. Vedremo il prossimo cancelliere tedesco cosa ne pensa.

Le elezioni europee saranno quindi uno snodo importante. Secondo lei conta di più il voto in Francia o quello in Germania?

Sul piano economico forse quello che ci sarà in Germania. Se vincesse la Merkel avrebbe un atteggiamento “democristiano”, cercherebbe di accomodare un po’ tutti, spostando un po’ la politica economica tedesca. Per esempio, nonostante le critiche della Bundesbank, ha già lasciato la Bce libera di operare. Sul piano politico credo sarà invece più importante il voto in Francia, perché se dovesse vincere la Le Pen si porrebbe subito il problema del futuro dell’euro.



In questo anno elettorale la Bce avrà un ruolo ancora più importante di “governo economico” dell’Europa?

Ormai è da parecchi anni, ancora prima che arrivasse Draghi, che la Bce è l’istituzione chiave dell’Europa. L’unica che ha un’operatività immediata, non soggetta a organi di decisione politica che si sono rivelati molto incerti. La Bce ha assunto un ruolo che va molto al di là della moneta, preservando un certo tipo di unità europea, che ci piaccia o meno.

L’inflazione dovrebbe accelerare nel primo semestre dell’anno. Questo può creare dei problemi alle politiche di Draghi?

No, anzi: la Bce considera normale un’inflazione tra l’1,5% e il 2%. E poi non bisogna dimenticare che se non ci sono rendimenti di ugual percentuale le assicurazioni faticano a garantire le prestazioni agli assicurati.

Qualche problema per il debito sovrano però lo si crea…

Certo, i paesi devono stare un po’ più attenti, perché il debito pubblico costa di più. Però se si allentassero gli obiettivi del Patto di stabilità e crescita, magari rinviandoli di 5 anni, pur continuando i paesi a impegnarsi a rispettare certe soglie nei rapporti debito/Pil e deficit/Pil, la situazione resterebbe sostenibile.

Dunque diventa importante ridiscutere il Fiscal compact.

Secondo me, è il punto su cui dobbiamo aspettarci che la politica prima o poi si faccia sentire. Cinque anni fa si era detto ok alla proposta tedesca perché non ci si aspettava un livello di sviluppo così basso come quello che c’è stato. Adesso avremmo bisogno di sospendere o di rimodulare il Fiscal compact dando cinque anni di respiro e mettendo poi in atto delle iniziative di politica economica comune. 

 

Di che tipo?

Ci vorrebbe il trasferimento a Bruxelles, a quello che comincerebbe a sembrare un vero Governo, di un’imposta europea, per esempio una parte dell’Irpef di tutti i paesi, per far fronte a delle spese che vengono fatte a livello di tutta l’Europa. Bruxelles deve diventare veramente un centro attivo di governo, cosa che per il momento avviene soltanto per il commercio estero. 

 

A proposito di commercio estero, possiamo aspettarci un qualche traino dall’economia americana?

Probabilmente sì, ma le incertezze non mancano, perché bisogna capire se questa economia che Trump cercherà di chiudere comporterà dei dazi anche per l’Europa. Se non saremo colpiti, allora nei prossimi trimestri possiamo aspettarci un poco di spinta dagli Usa.

 

L’Italia, quindi, deve solo aspettare quel che avviene al suo esterno…

L’Italia deve continuare a fare le sue politiche con i vincoli che ha, deve aspettare. La mia impressione è che il Pil italiano e la sua crescita siano lievemente sottovalutati dalle statistiche. Questo per un motivo tecnico importante: si sta verificando uno spostamento incredibilmente rapido dei consumi dalla rete di distribuzione tradizionale a quella di internet, che non è ancora ben monitorata dalle statistiche. Quindi in Italia c’è stata forse una crescita dei consumi superiore a quella che appare dalle statistiche. 

 

Di quanto potrebbe cambiare le cose? 

Forse qualche decimale in più di Pil. Che può essere importante per i parametri di finanza pubblica. Dunque possiamo cercare di fare un po’ meglio dell’anno scorso, sperando che non si butti tutto in aria con una delle tante cose interne ed esterne che possono capitare.

 

(Lorenzo Torrisi)