Ora Draghi inizia davvero a essere sotto pressione, come non mai finora nella sua carriera di Governatore della Banca centrale europea. Forse un solo altro momento è stato così difficile, quando nel luglio 2012 lo spread saliva senza sosta, tornando ai livelli di un anno prima (quando per quel motivo fecero cadere il governo Berlusconi affinché fosse sostituito al più obbediente Monti), e Draghi spese tutta la sua credibilità (o quel poco che ne rimaneva già allora) per affermare il suo celebre “whatever it takes”, cioè “costi quel che costi” (“noi faremo di tutto per salvare l’euro, costi quello che costi, e credetemi, sarà abbastanza”).
Ma allora aveva un minimo di credibilità da spendere. In fondo, i poteri forti finanziari e politici lo avevano voluto lì proprio per questo, un nome e una autorità spendibile e presentabile. Ma ora il tempo è passato, la crisi è progredita, Draghi stesso si è impegnato, si è esposto, si è speso a predicare il verbo di una visione economica che non ha portato i risultati attesi. Ora con quale credibilità si potrà ancora esporre? Con l’economia ancora in crisi? Con l’euro che continua a collezionare nuovi traguardi al ribasso? Con le banche italiane che sono sempre più sull’orlo del baratro? Ora che ha tirato fuori il famoso “bazooka di Draghi”, (il Qe da 80 miliardi di euro al mese) e la montagna ha partorito il topolino (il Pil modestissimo)? Ora che si fa? Una conferenza stampa con la faccia da duro e il tono sferzante non basteranno più. Ci vorrà ben altro.
Ora il progredire della crisi ha portato non solo a una depressione di fatto: perché occorre ricordare che la crisi non è uguale per tutti e se si dice che il Pil è cresciuto di uno 0,6%, allora occorre ricordare che per alcune grosse imprese la crescita è stata importante, ma per tantissimi piccoli imprenditori la crisi è stata durissima, fino al fallimento. E questo alla lunga ha portato alla crescita dei prestiti non performanti, alla crisi delle banche, alla crisi di Monte dei Paschi di Siena.
E proprio Monte dei Paschi di Siena è il caso recente più emblematico. Questo è il caso che rischia di diventare un paradigma per tutto il sistema, ma è pure il caso sul quale l’Europa sta rischiando la spaccatura definitiva, anche perché questo è proprio il caso nel quale si vede come l’Europa, lungi dall’essere solidale e dal difendere gli interessi dei propri vicini, si preoccupa solo delle regole e di difendere la libertà di speculare, anche se questo aggrava i problemi.
Come spiegare del resto il fatto che proprio la Bce abbia negato a Mps una proroga sui tempi per la ricapitalizzazione? E come spiegare una pronta revisione dei bilanci per rivedere al rialzo il capitale necessario alla ricapitalizzazione (da 5 ad 8,8 miliardi, due differenti giudizi nel giro di un mese)? Draghi vuol forse mostrarsi duro, per avere una posizione personale difendibile con la Germania? Ma anche questo sembra un vicolo cieco. Ora gli ultimi dati riportano la crescita dell’inflazione per Germania e Francia. E l’inflazione all’estero viene vista come un modo nascosto, un trucco sporco per far pagare ai ricchi i debiti dei poveri, per far pagare ai paesi del nord Europa i debiti del sud Europa (dove l’inflazione non c’è o è minore).
Questo vuol dire che le pressioni su Draghi per cancellare del tutto il Qe saranno fortissime. Ma se dovesse farlo, Draghi sa bene che a saltare saranno proprio le banche del sud Europa. E non sarebbe un bello spettacolo, perché oltre a rendere evidente l’inutilità della Bce e dell’euro (e la dannosità, perché se non ha portato a comportamenti virtuosi rispetto a prima, in ogni caso prima nessuna banca italiana è mai fallita), tali fallimenti porteranno ben presto alla crisi e al fallimento del resto delle banche europee. Il sistema bancario infatti è così strettamente interconnesso da scatenare un effetto domino che nessuno potrà fermare.
Il dilemma di Draghi è quindi tra l’apocalisse finanziaria o la spaccatura dell’euro, perché stavolta saranno i paesi del nord Europa a minacciare di lasciare l’euro. Immagino sceglierà l’apocalisse finanziaria. Tanto a pagare siamo noi.