Oggi capiremo un po’ di più di ciò che ci attende ma non tutto, perché un possibile “cigno nero” è dietro l’angolo e potremmo accorgersi del suo arrivo quando potrebbe essere troppo tardi. Le Borse europee erano contrastate a metà giornata di contrattazioni ieri, dopo che l’indice dei prezzi al consumo nell’area euro a dicembre, stando alla lettura definitiva, è salito dell’1,1% anno su anno, in linea al dato preliminare e al consenso e in aumento rispetto a novembre (+0,6%). Su base mensile, sempre a dicembre, l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto dello 0,5% come da attese dal -0,1% mese su mese del mese precedente. Mentre l’indice dei prezzi core, che esclude le componenti dell’energia, degli alimenti e dell’alcool, è salito a livello mensile dello 0,4% ed è cresciuto dello 0,9% su base annuale, in linea al consenso e in aumento dallo 0,8% di novembre. Dalla Germania, i dati finali di dicembre sui prezzi al consumo armonizzati hanno mostrato un +1,% su base mensile e un +1,7% su base annua, in linea con le letture preliminari. 



Insomma, è ora di operare un tapering degli acquisti obbligazionari della Bce, come chiedono a gran voce la Bundesbank e Schaeuble oppure oggi Mario Draghi, al termine del Consiglio dell’Eurotower, confermerà gli impegni annunciati a dicembre, ovvero l’estensione del Qe fino a fine anno, seppur con importo ridotto a 60 miliardi mensili a partire da aprile? Sui numeri dell’inflazione si giocherà infatti nel breve periodo il destino della linea di forte espansione monetaria della Bce, la quale però non può “ballare da sola”, ma deve giocoforza tenere gli occhi bene aperti su quanto sta accadendo dall’altra sponda dell’Atlantico, quando siamo ormai a un solo giorno dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. 



Ieri il dollaro è risalito nelle quotazioni, dopo lo schianto seguito all’intervista del neo presidente al Wall Street Journal, nella quale diceva senza troppi giri di parole che «il dollaro così forte ci sta uccidendo». Stando agli analisti di Bank of America-Merrill Lynch, «Draghi cercherà di essere il più noioso possibile, restando legato al messaggio dato a dicembre per evitare di creare aspettative su ulteriori cambiamenti della politica monetaria». Di più, «sarà importante vedere cosa dirà il presidente della Bce proprio sull’inflazione». Già, perché prima che economico, il nodo dell’interpretazione che l’Eurotower darà delle prospettive inflazionistiche è politico: insomma, la scelta è tra dichiarare o meno guerra alla Germania. 



Mario Draghi, essendo italiano, potrebbe scegliere la via della mediazione e della cautela ulteriori, soprattutto dopo lo scontro aperto tra Berlino e Roma riguardo lo scandalo emissioni di FCA negli Stati Uniti, con i tedeschi che chiedono all’Europa il ritiro di alcuni modelli di Fiat Chrysler e il governo italiano che invita i teutonici a pensare a Volkswagen e alle sue truffe acclarate. Ribadire con forza la posizione di dicembre potrebbe far irritare oltremodo la Bundesbank e i suoi referenti politici, quindi c’è da aspettarsi un discorso decisamente blando e misurato anche nelle virgole: state certi, però, che nel corso del botta e risposta finale con la stampa, qualche giornalista tedesco tenterà lo sgambetto al governatore, provando a stanarlo. 

Ma come anticipavo prima, ora l’attenzione degli investitori sarà focalizzata sull’inflazione in Usa, il cui dato preliminare di dicembre è stimato in rialzo al 2,1% tendenziale dall’1,7% del mese precedente, mentre il dato core al 2,2% dal 2,1%. E, anche qui, c’è tanta politica a sottendere le dinamiche. L’inflazione negli Usa è infatti in rialzo da tempo, spinta da carburanti e spese per la casa (affitti, in particolare), ma le promesse di politica economica di Trump hanno letteralmente messo le ali alle prospettive a 12 mesi, di fatto prospettando alla Fed un rafforzamento sostenuto dei prezzi che potrebbe alimentare la speculazione sull’ampiezza e la velocità del ciclo rialzista dei tassi di interesse che la Banca centrale Usa condurrà quest’anno. 

Tre è il numero dei rialzi annunciati, ma la questione è anche di timing, ovvero se si potrà distribuirli in maniera “rilassata” lungo i 12 mesi o se una fiammata inflazionistica, magari, obbligherà la Fed a concludere il ciclo in fase emergenziale, magari tre rialzi in 6-7 mesi. A quel punto, l’intero pianeta sarà interessato dal fallout di questa scelta, perché agire sul costo del denaro significa anche agire sul dollaro e la sua valutazione. 

E la tabella a fondo pagina, tratta dal sondaggio mensile che Bank of America-Merrill Lynch conduce tra i gestori di fondi, ci dice che la stragrande maggioranza degli interpellati crede che il trade attualmente più affollato – e, quindi, popolare – sia proprio quello di andare lunghi sul dollaro, ovvero scommettere sul rialzo della sua valutazione. Ora, al netto del fatto che – contravvenendo alle sparate della campagna elettorale – Donald Trump ha infarcito il suo esecutivo di ex manager di Wall Street nei ruoli economici, pensate che si lascerà andare in reverse il corso monetario Usa, schiantando qualche centinaio di miliardi di scommesse finanziarie sul dollaro in apprezzamento? Io ne dubito, fortemente. Perché, se così fosse, la botta sarebbe sufficientemente forte da richiedere immediatamente un altro Qe della Fed, dopo aver tagliato di corsa i tassi. A quel punto, Mario Draghi avrebbe l’alibi perfetto per mettere all’angolo la Bundesbank e le sue richieste di tapering: come vedete, non solo è tutto connesso, ma è anche molto più politico di quanto non si pensi. 

Ieri il presidente della Federal Reserve di San Francisco, John Williams, ha detto che un graduale processo di rialzo dei tassi di interesse permetterebbe all’economia statunitense di continuare a espandersi. Williams ritiene quindi «appropriato» che la Fed continui ad agire sui tassi di interesse, pur non specificando quanti rialzi vorrebbe vedere quest’anno: stando al banchiere, aumenti dei tassi costanti evitano che l’economia cresca troppo rapidamente. Ammesso e non concesso che l’inflazione non spari una fiammata di quelle che fanno paura. Un surriscaldamento dell’economia potrebbe infatti creare nuove bolle finanziarie e potrebbe spingere il tasso di inflazione ben al di sopra dell’obiettivo della Fed del 2%, costringendo i funzionari ad aumentare il tasso più rapidamente, il che potrebbe portare a un nuovo rallentamento. 

«Un processo graduale di aumento dei tassi riduce i rischi di un tale risultato», ha aggiunto Williams, puntualizzando che, inoltre, «permette un processo più agevole e calibrato di normalizzazione, che ci dà lo spazio di manovra per adattare le risposte a qualsiasi cambiamento a sorpresa nelle condizioni economiche». Il mercato, per ora, è stranamente tranquillo, nonostante l’incertezza politica e geopolitica, soprattutto negli Usa dove per domani sono già preannunciate manifestazioni di massa per protestare contro l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca come 45mo presidente degli Stati Uniti. 

I due grafici a fondo pagina sono esplicativi al riguardo: il primo ci mostra il decoupling netto tra incertezza delle politiche economiche, ai massimi record e incertezza dei mercati equity, attraverso l’indicatore della volatilità (VIX), ai minimi. Mentre il secondo ci mostra come le posizione speculative sul crollo del VIX siano ai massimi, sintomo che gli operatori sono certi che la narrativa irreale riguardo l’economia Usa che ha retto finora reggerà anche all’arrivo di Donald Trump e non cederà il passo alla realtà. Le ultime due volte che gli shorts speculativi sul VIX sono stati così alti, lo stesso indice di volatilità è schizzato subito dopo dall’attuale banda del 10 ad almeno 22. Altra potenziale botta che si ripercuoterebbe a livello globale, non certo solo locale. 

E se le autorità cinesi, in nome del libero mercato, hanno di fatto vietato le vendite sui mercati azionari finché il presidente Xi Jinping sarà a Davos, mettendo il campo lo special team per gli acquisti di Stato, la festa non può durare in eterno. Oggi Mario Draghi ci dirà qualcosa di più, ma sarà l’accoglienza che l’America anti-Trump riserverà domani al presidente eletto a farci capire se il tonfo sarà dietro l’angolo o richiederà il tempo necessario a Wall Street per scaricare l’immondizia che tratta e che detiene a bilancio, senza alcun riferimento credibile al value-at-risk. Restate sintonizzati, sono tempi davvero interessanti.