Per i cinesi, i cui calendari sono organizzati in cicli di dodici anni, il 2017, iniziato ieri, corrisponde in gran misura a “l’anno del gallo”, che inizia il 28 gennaio e termina il 18 febbraio 2018. Per i cinesi, il gallo è simbolo di apertura e tolleranza; dunque le stelle favoriscono e supportano le svolte personali e professionali. Tuttavia, sempre secondo l’astrologia cinese, l’anno del segno di nascita è quello più sfortunato nel ciclo; attenti, dunque, coloro che sono nati in precedenti anni “del gallo”. Queste due affermazioni sembrano un indovinello. Come spesso avviene, studiando i significati che i cinesi attribuiscono ai loro simboli. Se si leggono, anche meramente rivolgendosi al Prof. Google, gli “oroscopi” (cinesi) che in queste settimane che precedono “l’anno del gallo”, le contraddizioni appaiono palesi. Si resta con la sensazione di una fase caratterizzata da notevole incertezza sotto tutti i profili – da quello individuale a quello familiare, da quello socio-politico a quello economico.
Senza fare riferimento al calendario cinese (come spesso fanno i britannici), l’editoriale della sezione economica del numero doppio natalizio del settimanale The Economist, tratteggia un clima cupo, e carico d’incertezza, per l’economia internazionale. Sottolinea come all’orizzonte ci siano poche e tremule voci di speranza: il buon andamento (relativo) dell’economia americana, il miglioramento e la ristrutturazione delle aziende ad alta tecnologia.
Al tempo stesso, in tutto il mondo occidentale, dall’inizio degli anni Settanta (tranne una breve fase nel 1996-2004) l’andamento della produttività è stato deludente, la seconda economia del mondo (la Cina) è in rallentamento, il Medio Oriente e il Nord Africa sono tormentati da guerre, l’America Latina non offre un quadro incoraggiante (si guardi a Venezuela e Brasile che sembravano, dieci anni fa, essere i motori del continente) e l’Europa pare sempre più dilaniata sia nel suo insieme, sia all’interno dei singoli Paesi.
In questo contesto, l’Italia. C’è chi aveva sperato che, superato il referendum, si sarebbe avuta una Costituzione più efficace a rendere le decisioni economiche tempestive (un’ipotesi che il vostro chroniqueur non ha condiviso) e dopo circa quattro anni di disattenzione nei confronti della politica economica si sarebbe elaborata e attuata una strategia di crescita. Ciò non è stato. Anzi, il referendum ha mostrato a tutto tondo quanto profondo sia il solco tra il ceto dominante e il resto della società.
Ora il Paese si trova con un Governo sostanzialmente fotocopia del precedente, ma con un mandato limitato a favorire il gioco parlamentare per allestire una nuova legge elettorale e ad andare al più presto alle urne, mentre stanno scoppiando bubboni economici (banche, occupazione, disagio sociale) a lungo trascurati e non pare ci sia una direzione chiara e condivisa sugli obiettivi e gli strumenti di politica economica.
Abbiamo cercato su questa testata di indicare quali potrebbero essere gli obiettivi e gli strumenti di politica che dovrebbero essere adottati quale che sia la nuova normativa elettorale e l’esito delle elezioni. Non sembra che abbiano ricevuto alcuna attenzione mentre ci si arrabatta sui nodi del Monte dei Paschi di Siena e dei voucher lavoro. Abbiamo anche insistito sulla necessità che Governo e Parlamento si interfaccino con i corpi intermedi, la cui funzione di suggerimento, stimolo e anche mediazione con il resto della società civile è sempre più importante (come mostra la crescita del numero di consigli economici e sociali, equivalenti al nostro Cnel, in tutto il mondo). Ancora una volta pare che le principali forze politiche siano prese dai loro problemi interni e dal contingente di breve e brevissimo periodo piuttosto che dalla definizione e attuazione di una strategia economica per rimettere in moto il Paese.
L’augurio che il 2017 sia un anno migliore per tutti, specialmente per coloro che catastrofi naturali e mancanza di politica economica hanno reso più disagiati, può sembrare beffardo se non accompagnato dall’auspicio che coloro che hanno portato l’Italia in queste condizioni mantengano l’impegno di non più dedicarsi alla politica (anche se solo per conservare un po’ di dignità personale e rispetto al resto del mondo).