Alla prova dei fatti sembra surreale – ma a guardarlo da vicino non lo è affatto – l’ultradecennale stillicidio giudiziario (una “tentata gogna”, per fortuna mai divenuta pienamente tale) cui è stato sottoposto Marco Tronchetti Provera, il capo della Pirelli che dal 2001 al 2006 ha voluto (avuto la cattiva idea di) gestire Telecom Italia. È il caso di parlarne ancora solo perché è una cronaca di 18 avvisi di garanzia su temi sostanzialmente piuttosto marginali ma comunque di grandissima rilevanza mediatica, sempre finiti in nulla, l’ultimo dei quali pochi giorni fa. Ma è anche il caso di parlare sia del “cui prodest” di tutto questo accanimento mediatico, sia del “cui nocuit”, cioè dell’identikit di chi si è giovato e chi invece ha pagato danni immeritati dalla vicenda.



L’ultima, ennesima conferma dell’innocenza di Tronchetti, peraltro già stabilita dalla Corte d’Appello poi sospesa dalla Cassazione, è appunto arrivata ai primi di gennaio con l’archiviazione della causa contro i legali di Telecom all’epoca, Chiappetta e Mucciarelli, dall’accusa di falsa testimonianza per aver attestato che Tronchetti non aveva commissionato alcun atto illecito nell’ambito della cosiddetta vicenda Kroll. Anzi: dalla testimonianza dei legali emerge che Tronchetti, lungi dall’aver commissionato il “controspionaggio” sugli spioni dell’agenzia Kroll, si era limitato a prendere atto dell’esistenza di dossier ai danni di Telecom, suoi e della sua famiglia – realizzati appunto da quell’agenzia – limitandosi a ordinarne l’immediata consegna all’autorità giudiziaria (non precisamente ciò che fa di solito chi ha in mano un corpo di reato!).



Ma questo è solo un pezzo di una storia che nasce e si sviluppa dalle attività di dossieraggio fatte da un pugno di dipendenti della Security Telecom (e da loro consulenti) a carico di molti soggetti italiani. La Corte d’Assise di Milano ha stabilito la totalità estraneità degli allora vertici di Telecom alle attività di Tavaroli & Co. Un’iniziativa di pochi dipendenti infedeli in cambio di soldi e potere, aveva sentenziato la Corte. E comunque – per quanto la circostanza non ridimensioni le colpe – nessuno degli spiati pare essersi mai lamentato di danni concreti subìti a seguito di quelle indiscrezioni carpite dagli spioni. Dunque, una bolla di sapone, sulla quale però mezzo mondo ha bersagliato Tronchetti di contumelie, cavalcando l’azione delle Procure. Ne ha dato brillante riepilogo Antonello Piroso su “La verità” l’altro giorno.



Il senatore Luigi Grillo, di Forza Italia, per esempio, che definisce la Telecom di Tronchetti un centro illegale di intercettazioni, viene querelato e assolto perché la notizia risultava – scrive il Pm Fabio Napoleone – “essere stata diffusa dai media, con qualche rara eccezione, in modo così capillare e reiterato da coinvolgere in una suggestione collettiva anche molti settori delle istituzioni”, e quindi il Senatore è stato giudicato innocente perché la campagna mediatica “era stata tale da generare l’opinione che la circostanza incriminata fosse un fatto notorio certamente accaduto”.

È stupefacente come non si noti che, con la tesi sostenuta nel caso Grillo e in generale con l’impunità di chi ha orchestrato e sostenuto la campagna di stampa contro Tronchetti, si legittima non solo la diffamazione, ma anche la speculazione sulla diffamazione: perché se è innocente Grillo, sono colpevoli i media che hanno raccontato la vicenda come conclusasi con l’accertamento di una colpevolezza in realtà inesistente, e quindi in modo diffamatorio!

Colpevoli non nel senso di aver parlato del caso – ci mancherebbe, la notizia dell’incriminazione e delle indagini era importante -, ma di aver sbattuto il “mostro” in prima pagina senza quasi mai dare l’altra campana, senza concedere la parola alla difesa. E se oggi, qua e là, esce qualche cronaca sulle assoluzioni – come quest’articolo – accade solo perché Tronchetti è ancora un pezzo grosso, ma sono cronache per dimensioni ed enfasi inconfrontabili con la valanga di pagine di fango pubblicate da tutti sulle accuse.

Ma cui prodest? E qui viene il bello. La rimozione di Tronchetti da Telecom, forzata di fatto anche e soprattutto dalla campagna diffamatoria, giovò (o parve giovare agli interessati) sia a Carlo De Benedetti che a Silvio Berlusconi, i duellanti di sempre per una volta uniti da una comune avversione. Il primo – molto vicino all’allora premier Romano Prodi, che sul piano politico attaccò durissimamente Tronchetti – era mosso più che da un interesse di business da una sorda ostilità personale nata ai tempi della sua personale fallita scalata alla Pirelli e continuata negli anni successivi a valere su tutto ciò che aveva a che fare con Telecom Italia: da quando rifiutò di aderire alla cordata Colaninno nel ‘99 (“io col mio ragioniere?”), a quando respinse la medesima proposta portatagli (forse arbitrariamente…) da intermediari per l’analoga iniziativa del 2001 di Tronchetti.

Berlusconi, che non aveva mai interferito con le attività di Tronchetti, negli anni del suo governo – 2001-2006 – era però spaventato, e vieppiù lo spaventavano i suoi colonnelli, dalla prospettiva che Tronchetti chiaramente perseguiva per la “sua” Telecom, quella cioè di un’alleanza strategica con un grande player globale dei contenuti, segnatamente Sky: una strategia che peraltro anticipava di dieci anni quella attuale, scelta però da una Telecom ormai acquisita dalla francese Vivendi (a causa dell’indifferenza dei soci italiani della cordata guidata da Telefonica, che proprio da Pirelli aveva rilevato il controllo del colosso nel 2007: ma questa è un’altra e ancor più brutta storia di sottopotere e infingardaggine).

Di questa posizione di oggettiva minoranza in cui si trovò, Tronchetti risentì gravemente, per la martellante ostilità mediatica e gli attacchi del governo Prodi che lo spinsero a uscire da Telecom. Ostilità paradossalmente condivisa anche da parte del gruppo Rcs, di cui lui era importante azionista, il quale trovandosi – nell’autorevole persona del suo editorialista Massimo Mucchetti – tra i soggetti spiati, non ritenne di dover lasciare grande parola alla difesa…

A essere stata danneggiata da questa storiaccia, e cioè appunto dall’estromissione mediatico-giudiziaria di un protagonista dell’economia nazionale come Tronchetti dal settore delle telecomunicazioni, è stata infine non la fortuna personale dell’interessato, ma probabilmente l’azienda – che oggi va bene ed è ben gestita ma non è più italiana – e sicuramente il sistema-Paese. Il nostro “capitalismo senza capitali” ha visto in Tronchetti uno dei protagonisti più bravi a costruire pur disponendo effettivamente di poche risorse. Tronchetti si può apprezzare o denigrare per questo, ma è un fatto. Non sappiamo cosa sarebbe stato di Telecom se fosse rimasta sua o cosa sarebbe stato della stessa Pirelli. Ma l’integrazione fra contenuti e tlc che Tronchetti aveva visto nel 2005 è una strategia che oggi tutti ritengono l’unica capace di generare valore nelle tlc.

Di sicuro, nell’avaro campionato della nostra imprenditoria un arbitro improprio e scorretto ha fischiato senza ragione, nel caso di Tronchetti, l’espulsione di un cannoniere. La partita, da allora, è stata falsata.