Il nuovo grande gioco, scrive il Wall Street Journal, è Stati Uniti contro Cina. Qui s’inserisce anche la partita con la Russia che resta la seconda potenza nucleare, ma è un Paese povero, in recessione, dipendente da gas e petrolio i cui prezzi restano bassi e dove gli Stati Uniti sono ormai diretti concorrenti. L’Unione europea (alla quale Donald Trump non riconosce dignità di soggetto politico) è un vasetto di coccio. Se così stanno le cose, che cos’è l’Italia, una barchetta di carta in balia dei flutti?



Durante l’era Obama, Roma ha giocato di sponda tra Washington e Bruxelles, spostandosi verso l’Atlantico quando Berlino faceva sentire in modo insopportabile il peso dei suoi diktat economici e riavvicinandosi quando si trattava di portare a casa qualche aiuto per far fronte all’emergenza rifugiati. Adesso il pendolo è improponibile. L’Italia dovrà scegliere. Ci sarà senza dubbio chi (a destra, ma anche nei pentastellati e nella sinistra radicale) spinge, soprattutto in odio a Bruxelles e a Berlino, per buttarsi a fare i migliori amici dell’America. In fondo accadde anche dopo l’11 settembre quando Silvio Berlusconi firmò la lettera dei willings insieme agli inglesi e contro francesi e tedeschi. Ma allora l’Europa era divisa, la Nato si era dichiarata in guerra adottando l’articolo 5 del trattato, e poi dall’altra parte c’erano i neocon di George W. Bush che volevano rispondere al terrorismo islamico esportando la democrazia anche sulla punta delle baionette. Oggi Trump non vuole esportare proprio niente, nemmeno le auto americane, figurarsi la democrazia. America First assomiglia ad America Only.



L’Italia, che l’amministrazione Obama aveva aiutato affinché non finisse del tutto fuori campo, adesso si trova più sola davanti a un’Unione europea priva della Gran Bretagna dove l’unico Paese solido e autorevole sulla scena mondiale resta la Germania. Non è una situazione piacevole per un’Italia che ha sempre basato la propria strategia internazionale sulle geometrie variabili, convinta che, debole com’è, avrebbe tratto vantaggio dalle debolezze altrui. Ciò vale anche per i rapporti con Putin o per i complicati imbrogli mediorientali.

La difficoltà è ancora maggiore per la particolare fragilità politica ed economica dimostrata dall’Italia, un Paese che non cresce, ha perduto parte della sua produzione e della sua ricchezza, non ha recuperato efficienza, non ha riformato le istituzioni. Non potendo contare sul potere militare, come la Francia e l’Inghilterra, l’Italia aveva puntato sempre sulla sua vivacità economica (magari sgangherata). Pur essendo rimasta, nonostante la crisi, la seconda economia manifatturiera d’Europa dopo la Germania, ha perso quella sua vivacità e sta cedendo pezzo a pezzo anche alcuni dei punti di forza imprenditoriali (ultimo il caso Luxottica).



L’esigenza di rimettere a posto i conti pubblici e ridurre il debito sia rispetto al prodotto lordo, sia in termini assoluti, s’impone oggi senza più ritardi. In era di protezionismo e neo-nazionalismo, anche chi deve rigettare le sirene del facciamo da soli (e l’Italia priva di risorse proprie non può fare a meno di essere aperta al mercato internazionale) ha bisogno di attrezzarsi di fronte all’eventualità di contare sulle proprie forze. Ciò significa meno dipendenza, sia in campo energetico (e qui è necessario un enorme sforzo per ridurre il cordone ombelicale con la Russia e aumentare al massimo le fonti domestiche), sia sul terreno finanziario, dove la questione di fondo resta l’enorme quantità di titoli pubblici da vendere ogni anno che non può essere tutta assorbita dal risparmio interno.

Possiamo puntare ancor di più sulle esportazioni, naturalmente. Ma molto dipende dal rapporto tra euro e dollaro (finora è stato favorevole, tuttavia l’impennata speculativa del biglietto verde volge al termine) e dalle politiche commerciali americane. Dunque, bisogna mettere la casa in sicurezza, fin da subito. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sta litigando con Pierre Moscovici sulla necessità di trovare tra i 3 e i 4 miliardi di euro per evitare una manovra aggiuntiva. In realtà, un aggiustamento sembra proprio inevitabile e dovrebbe essere anche più consistente. Soprattutto se appare ormai chiaro che la Banca centrale europea comincerà la manovra di rientro dalla politica monetaria iper-espansiva. Meno titoli acquistati e messi in cascina, interessi in risalita, un ritorno alla cosiddetta normalità verso il quale spingono non più solo i tedeschi.

La Federal Reserve ha già cominciato. Vedremo presto che cosa le chiederà Trump, ma America First significa rifiutare ogni idea di coordinamento politico, tanto più della politica monetaria. E per forza di cose spingerà tutti sulla stessa strada. Ciascun per sé? Non ancora nell’area euro, ma fossimo nel governo cominceremmo a chiederci come ed entro quali limiti, bisognerà pensare a Italy First.