Il 20 gennaio, con il breve discorso di Donad Trump in occasione della sua entrata in carica (18 minuti, il più stringato di tutti quelli dei suoi predecessori nell’ultimo quarto di secolo), si è consumata una vera e propria svolta: sul piano interno, la contrapposizione tra “il popolo” e “il movimento” (mai utilizzato il termine “partito”, mai un accenno al Great Old Party, il partito repubblicano che lo ha candidato alla Casa Bianca), da un lato, e la “casta” della politica che si ingrassava a Washington mentre le fabbriche chiudevano e i posti di lavoro si trasferivano altrove, dall’altro; sul piano internazione, la visione di una rinascita dell’America come punto centrale economico e politico del mondo, perché voluto da Dio e perché un’America più grande e più forte potrà illuminare e far prosperare il resto del mondo.
Soffermiamoci sulle implicazioni per l’Europa e per l’Italia. Sono analoghe quelle per l’Asia e per l’America Latina, ma hanno sfumature differenti. Per l’Europa si chiude forse definitivamente il sogno di quella Atlantic Community Partnership basata sui due pilastri: gli Stati Uniti e il Vecchio Continente in via d’integrazione. È un sogno nato negli anni Cinquanta in cui la partnership su due pilastri veniva vista in primo luogo come strumento per frenare l’avanzata del comunismo e per fare tornare alla prosperità il continente devastato dalla Seconda guerra mondiale.
In questa partnership, l’Italia aveva un ruolo speciale in quanto aveva al suo interno il partito comunista più numeroso dell’Occidente. Gli americani dimostrarono di avere un occhio di riguardo per Roma sia con il Piano Marshall, sia con le cinque linee di credito concesse dalla Banca mondiale sino al 1964, sia con l’intervento del Fondo monetario internazionale al momento della crisi valutaria della metà degli anni Settanta. A palazzo Chigi e nei ministeri chiave lo si sapeva e si è spesso consentito ai servizi segreti americani di condurre azioni che altri Stati europei non avrebbero permesso.
Quindi, un doppio legame speciale: quello tra Usa ed Europa (non dimentichiamo, ad esempio , che Washington incoraggiò attivamente l’ingresso della Gran Bretagna in quella che allora aveva il nome di Comunità economica europea), e quello, specialissimo tra Usa e Italia. Solo poche settimane fa, la diplomazia italiana fece un grande sforzo per assicurare che l’ultimo State Dinner della Presidenza Obama alla Casa Bianca fosse in occasione di una visita negli Stati Uniti del nostro Presidente del Consiglio nell’illusione che ciò avrebbe potuto influire sui risultati del referendum e sul negoziato con le autorità europee in materia di consolidamento di bilancio e di relativa flessibilità.
Ora è bene che chi ha nutrito illusioni non se ne faccia più. La litigiosa Unione europea e, nel suo seno, la piagnucolosa Italia sono viste dalla Casa Bianca come temi e problemi che non contribuiscono a fare diventare “l’America più grande” e di cui, quindi, è meglio non curarsi. La “casta” italiana non sembra migliore di quella che, secondo il primo discorso di Trump da Presidente, ha dominato la capitale Usa e quindi la si deve far cuocere nel proprio brodo. In questo contesto, acquistano credibilità le voci secondo cui nei tre mesi di “transizione” tra vittoria elettorale e insediamento, collaboratori di Trump avrebbe preso contatti con leader del Movimento 5 Stelle per comprendere se può indurre l’Italia a fare una svolta analoga a quella che si sta facendo negli Stati Uniti.
Numerosi commentatori ritengono che l’esperienza di Trump sarà breve a ragione dell’opposizione all’interno degli stessi Stati Uniti. Non saranno certo le dimostrazioni attorno al Campidoglio di Washington a incidere sul programma e sulla sua attuazione. Sono molto più importanti le scelte dei Ministri. Se – come si dice – proverranno in gran misura dal mondo dei miliardari della finanza, dell’industria e delle costruzioni, si tratterà di un gruppo uso a gestire consigli di amministrazione non certo con 535 deputati e senatori, di cui la metà circa ha, a torto o ragione, sentimenti non favorevoli all’inquilino della Casa Bianca. L’esperienza in consigli di amministrazione può essere poco utile in un incarico in cui sono indispensabili pazienza e abilità negoziali.
Il Congresso cercherà di ammorbidire le proposte di Trump e in numerosi casi ci riuscirà. Tuttavia, non credo che ciò inciderà molto sulla politica estera e su quella commerciale e finanziaria con il resto del mondo – Europa e Italia in primo luogo. Se il 44% degli americani sostiene Trump, particolarmente dopo gli errori, anche di comunicazione degli ultimi mesi, il nazionalismo e il protezionismo sembrano ben impiantati nell’America di questi anni.