La realtà, si sa, ha la testa dura. E l’ideologia, ottusa com’è, ne esce con le ossa rotte. Proprio così, sto parlando di quell’ideologia che da venti anni almeno predica che “uniti è meglio” riguardo i sistemi monetari, altrimenti saremo spazzati via dalla globalizzazione imperante. Quell’ideologia che ha preteso di guarire i guasti della globalizzazione (cioè la scarsa mobilità dei lavoratori, pena la disoccupazione che si è puntualmente verificata) con la stessa ricetta: la globalizzazione (delle monete e delle banche centrali). Ma la realtà dicevo è testarda e i dati ora mostrano questa realtà. 



Per esempio, i dati dell’inflazione, che pian piano si sta avvicinando al fatidico 2%, cioè proprio quello che è l’obiettivo statutario della Bce. Il problema grosso è che tale obiettivo è avvicinato in modo molto differente nei vari paesi europei. Non c’è niente da fare, nonostante tutti gli sforzi di questi anni: paesi differenti, economie differenti, fiscalità differenti, abitudini e tradizioni differenti. E il risultato, anche applicando una moneta unica e una medesima banca centrale, non può essere uguale.



Se ne stanno accorgendo anche in Repubblica Ceca, dove hanno conservato la loro moneta, la Corona. Dal 2004 aderisce all’Unione europea e ha iniziato il progetto per aderire all’euro. Ma con l’arrivo della crisi, passata dalle banche agli stati, l’adesione all’euro è sempre stata rimandata e oggi risulta completamente sospesa. Ora però arriva un report degli analisti di ING che prevede l’abbandono definitivo del cambio fisso tra la Corona ceca e l’euro (step necessario prima di entrare nell’unione monetaria) e quindi un cambio di nuovo oscillante, proprio per favorire quella svalutazione monetaria che permette la crescita del lavoro.



Ormai in tutta Europa abbiamo visto quali sono i danni di un cambio fisso che necessariamente scarica le tensioni del libero mercato sulla flessibilità del lavoro, cioè sulla svalutazione del lavoro. E chiaramente in Repubblica Ceca non vogliono essere coinvolti in questa dinamica suicida. Ili regime attuale con l’euro è in scadenza e l’orientamento è quello di non rinnovarlo e lasciar fluttuare il cambio.

Del resto, come si potrebbe pensare ora a un processo impegnativo come quello dell’unione monetaria, quando proprio in questi tempi si prospettano cambi sostanziali in alcuni dei governi più influenti? In Germania è in grande ascesa il partito Afd, che spinge per l’uscita dall’euro. Se l’attuale governo riuscirà a rimanere in sella, dovrà farlo comunque con una coalizione che costringerà la Merkel a numerosi compromessi e concessioni. In Francia la Le Pen e il suo partito sono dati come scontati vincitori. E pure in Olanda il partito che si pensa vincerà le prossime elezioni è quello che vuole uscire dall’euro. E pure in Italia, i partiti che sostengono l’attuale governo sono quelli che hanno perso il referendum e non sembrano messi bene per le prossime politiche. Se dovesse vincere il M5S, avremo un governo che forse non pensa di uscire subito dall’euro, ma certamente porrà diversi problemi ai poteri finanziari oggi dominanti in Europa.

Insomma, l’Unione europea così com’è stata concepita fino a oggi potrebbe uscire a pezzi dalle prossime elezioni politiche. E la conferma ulteriore viene da Davos, dove annualmente si riunisce il World Economic Forum. In questo incontro è praticamente andato in fumo il progetto di unione politica dell’Unione europea. Il premier olandese Rutte si è espresso così: “L’intera idea di una Europa ancora più unita non c’è più, è sepolta”. Inoltre, ha affermato che l’unione politica totale dell’area è una pericolosa fantasia romantica. “Il modo più veloce per smantellare l’Unione europea è continuare a parlare di quei passi che devono essere compiuti, uno dopo l’altro, per creare una sorta di super-Stato”.

Queste affermazioni hanno mandato su tutte le furie l’ex Presidente del Parlamento europeo Martin Schultz: “Che si tratti di Angela Merkel, o di Mark Rutte, o di chiunque altro, tutti devono avere il coraggio di dire che abbiamo bisogno di una Unione ancora più unita, ora più che mai nel XXI secolo. Senza di essa, l’Unione europea non ha futuro”. Ecco, senza volerlo Schultz ha detto la verità: l’Unione europea non ha futuro. Almeno non nella configurazione nata con il trattato di Maastricht. Ma non si tratta di una posizione della Germania contro l’Olanda. No, qui la confusione regna sovrana. Infatti, basta ascoltare il consulente finanziario di Angela Merkel, Roland Berger, per sentire cose che io stesso (ma non solo io) ho ripetuto spesso: “Il mondo delle imprese in Germania era abituato, durante il marco, a rivalutazioni costanti, dunque investiva per guadagnare produttività. Adesso questa esigenza di investire per guadagnare competitività è scomparsa. L’attuale tasso di cambio non è tale da aiutare la Germania. Aiuta il nostro export, ma superficialmente, perché scoraggia investimenti e aumenti di produttività. La Germania è un animale diverso, non è simile agli altri membri dell’area euro. Ci sarebbe molta più armonia se la Germania fosse fuori e i Paesi latini inclusa la Francia restassero nell’euro…”.

E poi sull’Italia: “Il problema dell’Italia decisamente non è la classe imprenditoriale, che è eccellente. Ho dei dubbi sulle imprese pubbliche o vicine allo Stato, ma le imprese private di tutte le dimensioni sono grandiose e molto competitive sul piano internazionale, come si vede nei numeri. I problemi principali dell’Italia per me sono l’infrastruttura burocratica, la giustizia che funziona male, e un governo che finora si è dimostrato incapace di fare riforme o di farle al momento giusto. Perché se arrivi tardi sei comunque indietro… Ma se l’Italia non riesce a cambiare ciò che tira giù il Paese, sarà sempre un problema. Eppure non ce ne sarebbe ragione, perché i lavoratori italiani, almeno quelli con una formazione, sono eccellenti. Lo vediamo quando vengono in Germania. Ricevono una formazione e poi fanno meglio dei loro colleghi tedeschi”.

Ovviamente secondo Berger i problemi dell’Italia sono la burocrazia e la malagiustizia, non l’euro. Eppure l’Italia prima dell’euro aveva la stessa burocrazia e e la stessa malagiustizia, ma è sempre riuscita a superare le fasi critiche, sia sociali che economiche (terrorismo, inflazione, ecc.) fino a diventare, verso la fine degli anni ’80, la quarta potenza economica mondiale, superando la Gran Bretagna. Poi è arrivato il divorzio tra ministero del Tesoro e Banca d’Italia, poi Maastricht, poi il serpentome monetario e infine l’unione monetaria. La competitività italiana è crollata e il debito (che nel 1980 era al 56% del Pil) è esploso. Infine, scoppia la crisi e i santoni dell’economia predicano che non si può uscire dall’euro perché altrimenti la moneta si svaluta e l’economia crolla.

Ma la menzogna dura poco, avviene la Brexit, la sterlina crolla (si svaluta) ma l’economia no, anzi inizia ad andare meglio (anche se è presto per un giudizio, comunque non è crollata al contrario delle previsioni dei falsi sapientoni).

Inoltre, la favola della rovina dell’economia in seguito alla svalutazione è smentita dallo stesso euro: da aprile 2014 ad aprile dell’anno dopo è passato da 1,36 a 1,07 dollari, svalutandosi cioè del 20% in un anno. Ma non sono arrivate le cavallette, né la pestilenza. La situazione economica era cattiva e cattiva è rimasta.

La verità è che se l’Italia esce dall’euro allora non c’è alcun motivo per mantenere l’euro e pure la Germania tornerebbe al suo marco come valuta nazionale. Solo che con quel surplus che si ritrova il marco si rivaluterebbe enormemente, i suoi prodotti risulterebbero più cari e le sue esportazioni calerebbero. Con un mercato interno ridotto al lumicino e le esportazioni che non tirano più, per la Germania sarebbe un disastro. Loro lo sanno e per questo ci vogliono nell’euro, per continuare ad avere una moneta svalutata per le loro esportazioni. Questa è la verità.

Per questo abbiamo un motivo in più per uscire dall’euro: con il nostro impoverimento stiamo pagando l’incremento di ricchezza di capitalisti e speculatori tedeschi. E per questo in Repubblica Ceca sta prevalendo il sentimento di sciogliere il legame della Corona con l’euro. Vogliono smettere di farlo.