Se la stampa tedesca non ha riferito male le parole del Ceo (tedesco) di Axa, Thomas Buberl, la “guerra della Generali” è già finita. Il gigante assicurativo francese “non ha nella propria strategia l’acquisizione di grandi competitor”, quindi: o i tamburi di scalata al Leone promossa da Mediobanca e dal suo alleato francese Vincent Bolloré era un fake; oppure la mossa di Intesa Sanpaolo in nome dell'”italianità” delle Generali ha suggerito ad Axa un rapido dietrofront. La seconda ipotesi appare più realistica della prima, anche se forse non lo è del tutto.



Come ha detto ieri Alessandro Profumo – oggi a capo del broker Equita e a suo tempo Ceo di UniCredit ai tempi della prima “difesa nazionale” delle Generali – molti aspetti del piano Intesa-Generali attendono comunque ancora di essere svelati. Se non ci sarà guerra guerreggiata, è immaginabile una prospettiva di soluzione concordata: forse non ancora su tutti i fronti.

Il coinvolgimento di UniCredit , ad esempio, è stato sancito da una convocazione in Consob che non sembrava obbligatoria alla luce dei fatti noti e soprattutto da un forte rialzo in Borsa legato a un’indiscrezione insistita: Intesa rileverebbe la quota UniCredit in Mediobanca. Naturalmente a un prezzo adeguato, comunque con uno smobilizzo oggi preziosissimo per il bilancio UniCredit, che sta per chiedere 13 miliardi di capitali freschi ai mercati). Di più: una volta rotto il cordone ombelicale vesro Mediobanca, il “nuova UniCredit” avrebbe totale libertà di manovra in vista di future aggregazioni internazionali. In particolare verso una possibile concentrazione con la francese Société Génerale: ritenuta industrialmente valida dai mercati.

Intesa Sanpaolo era al lavoro sulle Generali da mesi: da quando Matteo Renzi era ancora saldamente a Palazzo Chigi, con una forte predilezione per la banca guidata da Carlo Messina. Non è da escludere che il piano Generali (e l’acquisizione di tutte le attività nel risparmio gestito) possa rappresentare una sorta di compenso per l’impegno di Intesa e delle sue Fondazioni (Cariplo e Compagnia San Paolo) nel salvataggio delle Popolari del Nordest via Atlante. Di certo, in caso di successo dell’operazione Generali, Intesa rafforzerebbe il suo profilo di “banca di sistema” (caro al presidente emerito Giovanni Bazoli) e consentirebbe al governo Gentiloni di ottenere un risultato d’immagine: per quanto temperato dall’oggettivo smembramento delle Generali e dalla vendita della loro rete estera ad Allianz. A proposito: il gigante assicurativo tedesco (nel cui comitato di direzione siede l’ex amministratore delegato del Leone, Sergio Balbinot) sarebbe probabilmente incentivato a partecipare all’aumento UniCredit. (Per quanto possa essere rilevante, sta giù emergendo un silenzio-assenso al piano da parte di Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio: entrambi grandi azionisti italiani sia di Generali che di Unicredit).

E Vincent Bolloré? Il finanziere francese di Vivendi ha in questo momento tre fronti aperti in Italia: Telecom (di cui Vivendi è socio di controllo al 25%); Mediaset (in cui Vivendi si è trincerata al 30%) e la storica presenza forte in Mediobanca-Generali. Una ritirata (concordata) dal terreno più prestigioso potrebbe corrispondere allo sblocco di uno degli altri due dossier o di entrambi. Telecom, in particolare, è da tempo al centro di rumor di fusione con il campione nazionale francese Orange.

Tutti vincitori al termine di una guerra neppure iniziata? Certamente un esito come quello disegnato segnerebbe non solo la fine delle Generali (da tempo prive di mordente strategico) ma anche la fine di Mediobanca: certamente dello strano ma potentissimo centauro bancario che meno di vent’anni fa scalava vittoriosamente Telecom e controllava saldamente Generali e Rcs.