Veneto Banca e Popolare di Vicenza sono pronte a presentare un piano di fusione alla Banca centrale europea. Un piano che, ricorda Il Corriere della Sera, dovrà contenere anche un aumento di capitale, sulla cui cifra le indiscrezioni si spingono a parlare di circa 2,5 miliardi di euro, ma non è detto che si debba arrivare fino a 3. Non proprio una cifra di poco conto se si considerano i trascorsi di queste due banche venete. Il quotidiano milanese ricorda quindi che se l’operazione non dovesse andare in porto, non resterà che percorrere la stessa strada di Montepaschi, accedendo alla ricapitalizzazione precauzionale che il Governo ha previsto con il decreto di dicembre. Vedremo se lo Stato dovrà farsi carico anche delle due banche venete o se invece per loro l’operazione di mercato avrà successo.



Mentre l’Italia continua a lavorare per mettere a punto l’intervento pubblico in Mps, Enrico Enria, Presidente dell’Autorità bancaria europea, fa tornare a galla l’ipotesi di una bad bank a livello europeo per aiutare le banche a smaltire i propri crediti deteriorati. In particolare, gli Npl verrebbero acquistati da un fondo che li rivenderebbe poi entro tre anni. Eventuali perdite resterebbero a carico degli istituti di credito. Anche Klaus Rengling, numero uno del fondo Salva-Stati Esm sembra essere a favore di questa proposta, anche perché non prevede la mutualizzazione del rischio e sarebbe anche in grado di poter assorbire 250 miliardi di crediti deteriorati. Già in passato si era parlato dell’ipotesi di una bad bank europea, che non si è poi mai concretizzata.



Massimo Mucchetti ha illustrato alla commissione Industria del Senato la relazione al decreto salva-risparmio, che consente l’intervento dello Stato in Mps. Il Senatore del Partito democratico dà atto infatti al Governo di Paolo Gentiloni di “aver colto l’urgenza delle crisi bancarie in tempi rapidi”. Tuttavia non manca di rimarcare come le situazioni di crisi “fossero leggibili già nella prima metà del 2016”, quindi sarebbe stato meglio che l’esecutivo precedente fosse intervenuto. A tal proposito ricorda che Padoan ha spiegato che prima di far intervenire lo Stato, il Governo deve accertare che le soluzioni di mercato non siano praticabili. Tuttavia, era facile immaginare che il mercato non avrebbe salvato Mps.



E su questo punto Marco Morelli non ha fornito delle “prove” circa il reale interesse di investitori istituzionali per l’aumento di capitale della banca. “Si attende di avere maggiori informazioni allorquando le inchieste della magistratura avranno accertato se ci sia stata una manipolazione del mercato per suscitare un clima favorevole a un’operazione improbabile”, scrive Mucchetti. Il quale aggiunge anche che “il decreto legge ricostituisce la figura dello Stato azionista in una grande impresa, il che, a mio parere, rappresenta una svolta rilevante, dai contorni non del tutto definiti, soprattutto in termini temporali. In proposito occorre riflettere su quale ruolo intenda svolgere lo Stato azionista e con quali modalità”. E in effetti sul punto non c’è una perfetta chiarezza.

L’intervento pubblico in Mps sembra essere visto positivamente da Victor Massiah. L’amministratore delegato di Ubi Banca spiega infatti che “quella di Mps è una delle diverse soluzioni applicate per il superamento di alcune situazioni di crisi. Nessuno sa come andrà a finire, ma il fermento in corso sembra indicare un certo ottimismo su quello che possono essere le prospettive future. È giusto tentare queste diverse soluzioni con uno spirito costruttivo e con un legittimo ritorno all’orgoglio di fare banca”. In passato Ubi era stata indicata come possibile “cavaliere bianco” di Montepachi. Di recente ha invece presentato un’offerta per tre delle quattro good banks (Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti). A proposito della quale Massiah ha detto di ritenere che “il costo finale lo si potrà stimare solo tra qualche anno e ricordo come fossimo tra i pochi a poterla fare questa operazione, perché avevamo da offrire come sinergie sistemi informativi, piattaforme, costo del funding e processi del credito che per esempio un private equity non ha”.

Milano Finanza sottolinea un aspetto della vicenda Mps che sembra essere poco noto all’opinione pubblica. In queste settimane, ricorda il quotidiano finanziario, si parla molto della lista dei debitori insolventi della banca toscana e non sono mancati elenchi predisposti direttamente dagli organi di stampa. Tuttavia, anche sommando gli importi indicati, non si arriva certo agli oltre 28 miliardi di crediti deteriorati che Montepaschi ha in portafoglio. Questo perché, sottolinea MF, in realtà il 75% degli Npl riguarda esposizioni verso medie e piccole imprese. Le quali sono finite vittime della crisi e di fallimenti, incapaci quindi di poter onorare i debiti. Vero è che questo quadro è forse poco noto agli italiani, che stanno puntando il dito contro i grandi nomi della finanza e del capitalismo italiano. Tuttavia forse è proprio il fatto che questi “colossi” potrebbero restituire (almeno in parte) quanto avuto in prestito a suscitare scandalo. In fondo Pmi fallite non esistono nemmeno più a differenza dei grandi debitori di Mps.