In questo periodo si fa un gran parlare di post-verità, ovvero quelle notizie non vere o verosimili che, spacciate per tali e rese virali, diventano oro colato per le masse che le leggono sul web. Al di là del razzismo elitario congenito a questo ragionamento, visto che si presuppone che la gente sia un ammasso di beoti che continua a farsi infinocchiare da siti bufala senza capirlo, c’è però un problema: se, come sempre più spesso accade, la post-verità si rivela in realtà il vero, non è che qualcuno sta rimestando nel torbido per evitare che venga a galla? Non è che chi propone lotte senza quartiere alle bufale sul web ha semplicemente paura che la verità emerga per quella che è?
Vi faccio un esempio. È di ieri il dato ufficiale in base al quale c’è più ottimismo nella zona euro a dicembre. L’indicatore di fiducia economica dell’Europa a 19 Paesi è infatti salito il mese scorso a 107,8 punti, in rialzo rispetto ai 106,6 di novembre e al di sopra dei 106,8 attesi dal consenso. Lo ha reso noto la direzione generale per gli Affari economico-finanziari della Commissione europea, aggiungendo che nell’area euro l’indice di fiducia delle imprese è salito a +0,1 punti da -1,1 di novembre, anche in questo caso meglio del consenso a -0,4. L’indicatore del settore servizi si è inoltre attestato a 12,9 punti, in rialzo rispetto al mese precedente a 12,1. Infine il dato definitivo dell’indice di fiducia dei consumatori è risultato pari a -5,1 punti dai -6,1 di novembre, in linea al preliminare e al consenso.
Valori negativi, invece, per le vendite al dettaglio europee a novembre: Eurostat ha certificato una flessione destagionalizzata mensile dello 0,4% nell’Eurozona, in linea al consenso, e dello 0,1% nell’Ue a 28 paesi, contro, rispettivamente, il +1,4% e il +1,3% di ottobre. Su base annua, al contrario, i dati hanno confermato un netto rialzo pari al 2,3% nell’Eurozona e al 3,4% nell’Ue. Sul dato mensile ha pesato, in particolare, la flessione del volume delle vendite di beni non alimentari (-0,9%), seguite dal -0,4% di quelle del settore alimentazione, bevande e tabacchi, mentre i carburanti hanno registrato un +0,1%.
Vista così, la questione pare positiva: c’è ottimismo, l’economia pare riprendersi, c’è fiducia da parte delle imprese, l’indicatore più importante di tutti. Poi, però, c’è la post-verità: ovvero, i dati reali che i telegiornali e i giornali non vi dicono, perché la loro missione non è informare, bensì tranquillizzare. In attesa dell’ultimo report della McKinsey sul debito a livello globale, ieri è uscito quello dell’Institute for international finance e sapete qual è la novità? Il debito totale del mondo nei primi nove mesi del 2016 è salito di qualcosa come 11 triliardi di dollari, toccando il nuovo record assoluto di 217 triliardi. E sapete questo cosa significa? Che la ratio debito/Pil a livello glovale ora è al 325%! Che futuro può avere un mondo con un disequilibrio e un indebitamento simile? Eppure ci vendono i dati dell’eurozona che ha maggior fiducia: in cosa? Nel fatto che Mario Draghi e la Bce la tengano artificialmente in vita ancora per un po’, immagino.
In termini di composizione, il debito dei soli mercati emergenti nel 2016, a livello di bond governativi ed emissioni di syndacated loans, è salito di tre volte rispetto al livello del 2015 e la parte del leone, come al solito, l’ha fatta la Cina, la quale ha pesato per 710 miliardi dei totali 855 miliardi di nuovo debito emesso. Sarebbe quella l’economia emergente a cui si affida il ruolo di traino dell’economia globale?
Ma non basta. Presentando i dati, l’Iif mette in guardia tutti dal rischio sempre più concreto di un aumento dei costi del finanziamento dettati dal cambio di rotta alla Casa Bianca e da altri stress, incluso «un ambiente di crescita ancora debole e bassa profittabilità del ramo corporate, un dollaro sempre più forte, l’aumento dei rendimenti dei bond sovrani, i maggiori costi dell’hedging dai rischi e il deterioramento della credibilità di credito del ramo privato». Inoltre, «uno scostamento verso politiche più protezionistiche potrebbe pesare sui flussi finanziari, aumentando le vulnerabilità già presenti».
Ma c’è dell’altro e riguarda direttamente l’Europa: «Inoltre, vista l’importanza della City of London per le emissioni del debito e i derivati (particolarmente per le aziende europee e dei mercati emergenti), le attuali incertezze relative al timing e alla natura del processo di Brexit potrebbero porre rischi addizionali, incluso un più alto costo del finanziamento e delle pratiche di hedging dai rischi». Ma cosa sentite voi al telegiornale? Che il Dow Jones è ai massimi e sta flirtando con la cifra record di 20mila punti, che tutto va bene, che l’unico problemino è dato dal settore bancario italiano, ma, adesso, con la garanzia statale da 20 miliardi sarà tutto risolto: vi rendete conto quali sono le cifre reali del problema finanziario mondiale?
Guardate il primo grafico a fondo pagina, ci mostra la situazione attuale del mercato obbligazionario mondiale come tracciata da JP Morgan: vi pare normale? Vi pare possibile continuare a vivere in uno stato di indebitamento simile? Chi pagherà quel debito, quando arriverà il momento (e, vi assicuro, arriva sempre)? Voi gestireste l’economia della vostra famiglia in questo modo, tirando avanti solo grazie al debito continuo e sempre crescente? Immagino di no, eppure l’economia mondiale funziona così, gli Stati campano in questa maniera e non solo la nostra tanto vituperata Italia.
Non vi basta? Vi faccio un altro esempio. I tanto attesi dati sul mercato del lavoro degli Stati Uniti hanno evidenziato ieri una crescita delle buste paga nei settori non agricoli pari a 159 mila unità, un valore inferiore alle +175 mila attese, mentre i nuovi posti di lavoro creati dal settore privato sono stati pari a 144 mila unità. Lo ha reso noto il Dipartimento del Lavoro Usa, aggiungendo che il dato di novembre è stato rivisto al rialzo da +178 mila a +204 mila e quello di ottobre al ribasso da +142 mila a +135 mila. In leggero calo al 62,7% il tasso di partecipazione, ma la retribuzione media oraria è salita su base mensile dello 0,39%, oltre il +0,3% previsto. Guardando al 2016 nel suo complesso, inoltre, i salari sono cresciuti del 2,9%, l’incremento più consistente dal 2009. Stabile il tasso di disoccupazione al 4,7%, in linea con il consenso.
Sempre ieri gli analisti di Intesa Sanpaolo avevano sottolineato come «il mercato del lavoro Usa è ormai alla piena occupazione e nel corso del 2017 il sentiero dei salari dovrebbe accelerare: secondo stime della Fed la creazione di posti di lavoro neutrale, in linea con la crescita dell’offerta, dovrebbe essere intorno a 60-80 mila al mese. Il persistente eccesso di domanda dovrebbe quindi dare luogo a una dinamica salariale mediamente al di sopra del 3%». Accidenti, che fenomeno questo Obama, l’America è una macchina con il serbatoio pieno pronta a ripartire alla grande. A quale prezzo, però, a fronte di questi dati non certo da mani nei capelli. Ce lo dice il secondo grafico, il quale ci mostra plasticamente l’aumento del debito totale degli Usa dall’insediamento di Obama alla Casa Bianca a oggi.
Difficile trovare questo dato sulla grande stampa, la stessa che si lancia contro a post-verità, vero? Con credenziali simili, il buon Obama potrebbe tranquillamente essere il prossimo primo ministro (non eletto) del nostro Paese, che ne dite? Ve lo ripeto per l’ennesima volta, diffidate sempre delle versioni ufficiali e delle verità dei tg.