Pronti? Via! Sono in corso i saldi invernali 2017 in tutte le città italiane. La caccia all’affare, portata avanti in particolar modo dalle donne, era già iniziata con le cosiddette “missioni esplorative” per individuare un capo che, nel giro di pochi giorni, sarebbe stato messo in vendita a un prezzo inferiore da quello segnato sul cartellino.



Confcommercio ha così ricordato alcune regole per il corretto acquisto della merce in saldo: la possibilità di cambiare il prodotto, pratica generalmente lasciata alla discrezionalità del negoziante; la prova dei capi e i prodotti in vendita che possono appartenere anche a una stagione precedente. Inoltre, il negoziante ha l’obbligo di indicare il prezzo normale di vendita, lo sconto e il prezzo finale. Quelli che appunto troviamo segnati sul cartellino con tanto di percentuale di sconto applicata in bell’evidenza.



Ricapitoliamo. La data: due volte l’anno, a gennaio (per la stagione invernale) e a luglio (per quella estiva). Il fatto: smercio di merci invendute. La causa: eccesso di tali merci sul mercato. La concausa: alto prezzo delle merci medesime. Ed ecco i saldi, l’evento atteso, raccomandato, blandito, agognato dai più. Si imbandierano vetrine, si sbandierano occasioni, si bandiscono festini; c’è baldanza in tutti noi.

La fiera della vanità, la festa dei consumatori. La nostra festa. Sì, perché va in scena la rappresentazione fantasmagorica di come si possa vendere acquistando. Vendere le nostre istanze all’acquisto; vendere l’occasione di acquistare l’eccesso; vendere l’acquisto a prezzi convenienti. Le imprese, riducendo i prezzi, acquistano la domanda; noi vendendola rifocilliamo il potere d’acquisto.



Se fare la spesa lavoro ha da essere, insomma, reddito sia. Buono per fare quella crescita, buona per tutti. Questo è quanto, altro che risparmio! Insomma saldi, soldi e alcun quaquaraquà. Noi almeno, no!