Hanno fatto rumore le riflessioni del “Franco-German Economist Group on Emu Reforms”. Prendendo spunto dalla possibilità che i tassi di interesse, a seguito di un cambiamento della politica monetaria da parte della Bce, possano prossimamente salire, gli economisti riflettono sulle conseguenze soprattutto per i Paesi più fragili della Ue. Se da un lato non è certo che vedremo presto salire in modo netto i tassi di interesse, non per questo la situazione dei diversi debitori, soprattuto quelli più pesantemente indebitati, si può dire tranquillizzante. Secondo gli economisti firmatari, le eredità del passato di ogni Stato vanno risolte in modo equo, obiettivo, neutro, in modo da evitare il ripetersi delle tensioni politiche cui abbiamo pochi anni fa assistito (in particolare il gruppo di studio sottolinea il peso sul settore bancario, dato dal suo legame con il debito pubblico locale).
Il paper riconosce l’interesse di Francia e Germania a muovere passi in avanti rispetto al problema, ma fa emergere anche profonde differenze. Se Parigi vede con favore la creazione di un vero ministero delle Finanze europeo con un suo budget, le riserve tedesche hanno evidentemente impedito di accennare anche solo all’ordine di grandezza di questo “bilancio Ue”. Com’è noto Berlino vede infatti in un budget europeo di eccessiva importanza il rischio di una mutualizzazione dei debiti nazionali.
Il documento ammette quindi anche una concreta posizione di stallo sulle rive del Reno, davanti alla quale si vedono chiaramente i passi da compiere, per quanto impegnativi: la gestione assicurativa dei depositi bancari e lo sviluppo di un mercato finanziario veramente integrato. Oggi l’assenza di integrazione dei mercati finanziari rappresenta uno svantaggio competitivo autoinflitto dall’Europa in confronto al sistema Usa, svantaggio che espande i suoi effetti negativi al resto delle economie dei Paesi-membri. Giustamente viene individuata nel legame tra debito pubblico locale e settore bancario nazionale una debolezza per i suoi effetti trasmissivi. È altrettanto evidente uno strumento risolutivo: un debito privo di rischio emesso da un soggetto europeo sovranazionale e non riferibile al singolo Paese (sempre con la Germania guardinga per il rischio di mutualizzazione dei debiti sovrani).
Nell’immediato il confronto potrebbe essere sbloccato – secondo il tavolo scientifico franco-tedesco – da debiti esplicitamente ristrutturabili quando il loro emittente perdesse l’accesso al mercato dei capitali. Il suggerimento viene “ammorbidito” aggiungendo l’affermazione che la ristrutturazione del debito va vista come l’ultima possibilità da considerare per la soluzione delle insolvenze nell’Eurozona. La soluzione funzionerebbe solo dopo avere alleggerito dei debiti nazionali i rispettivi sistemi bancari, anche se è immediato l’interrogativo: nel momento dell’alleggerimento, cosa comprerebbero queste banche se le obbligazioni prive di rischio ancora non esistono?
Fuori dall’accademia – anche se di alto livello – il testo-mediazione punta veramente alla ristrutturazione automatica del debito? E quali sarebbero le regole per farla scattare? E in una democrazia le regole dovrebbero essere pubbliche. Nel frattempo la ricerca dell’eleganza accademica del modello implica l’accettazione del fallimento “automatico” di un debitore sovrano: lasciando alla mano invisibile di un anonimo trader la responsabilità del costo sociale che sopporteranno gli individui interessati. Nel frattempo – in tempo di elezioni – sarà interessante osservare le mosse dei politici, ad alcuni dei quali probabilmente non spiacerebbe trincerarsi dietro le proposte dei tecnici quando scaricano su “procedure” esterne operazioni dall’esito sgradevole.