Wolfgang Schaeuble si è congedato dall’Ecofin lasciando “in eredità” la bozza di un piano per riformare la governance europea, con la trasformazione dell’Esm in un Fondo monetario europeo che avrebbe il compito di vagliare le manovre finanziarie e i conti di pubblici dei Paesi membri, ovviamente con una forte attenzione al rispetto dei parametri imposti. Insomma, niente più dialoghi e trattative con la Commissione europea, con la possibilità di vedersi concessa della flessibilità. «Temo molto che questa strada indebolisca l’Europa. Di fatto il progetto europeo originale ne uscirebbe debilitato, verrebbe fatto un passo indietro verso una forma più robusta di integrazione commerciale. Questa specie di treno in corsa potrà andar bene alla Germania, visto che le regole le stabilirà lei insieme a un compagno di strada, ma niente più di questo, che è Macron», ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
Non è però questa l’Europa che ci si aspettava dopo la vittoria proprio di Macron in Francia…
In effetti sembrava che l’asse Berlino-Parigi potesse portare a un cambiamento della politica economica europea, con l’abbandono dell’austerità, che – ormai è evidente a molti, a tanti ancora no – è uno dei freni importanti per alcuni paesi, Italia in primis. Si parlava di una politica per gli investimenti e la crescita, mentre ora quello che si prefigura in queste bozze iniziali di discussione è una qualcosa che lascia intravvedere il commissariamento dietro l’angolo per i paesi che non rispettano rigorosamente i parametri fissati.
Prima ha parlato di “treno in corsa”. Pensa quindi che questo progetto andrà in porto?
Temo proprio di sì, anche se magari con piccoli aggiustamenti, giusto per far contento qualcuno. Il problema è l’idea di fondo, basata su parametri rigidi. Di fatto il fine tuning di cui una volta si parlava, cioè la possibilità di aggiustamento in base alle situazioni, non c’è. Al suo posto ci sarà la “ghigliottina”. Solo che abbiamo visto negli ultimi dieci anni cos’ha portato la ghigliottina. Questa non è l’Europa, è un insieme di regole, nemmeno concordate in modo democratico, che poi verranno applicate in modo definitivo. Pensi alla follia del Fiscal compact: ora quella follia acquista una dignità. Non bisogna poi trascurare un aspetto a proposito del rispetto delle regole.
Quale?
Se si dovessero applicare davvero le regole, bisognerebbe anche intervenire sul surplus commerciale della Germania che da tempo supera il 6% del Pil. Anche perché questo qualcuno lo paga: c’è una ricaduta sull’Europa. E non c’è nessuno che mette sul tavolo questo colossale inadempimento che danneggia tutta l’Europa.
In che modo il surplus della Germania danneggia gli altri paesi?
Faccio un esempio tra i tanti che potrei fare. Fino a non molti anni fa, in Italia esisteva un’industria tessile. Dopodiché con la globalizzazione, si è detto, è sparita. Parlare di globalizzazione in modo troppo generale è però ingannevole. La cosa importante è che dal momento in cui la Cina è entrata nella Wto, c’è stato un boom della Germania sul mercato cinese.
Il problema quindi è il surplus che la Germania ha creato nei rapporti con la Cina?
No. Il punto è che la Germania ha cominciato a importare dalla Cina quello che prima importava dall’Italia. Quello che ha distrutto l’industria tessile non è genericamente la globalizzazione. Se in un tempo molto rapido Berlino ha cominciato ad acquistare da Pechino a bassissimo costo prodotti tessili che prima acquistava all’interno dell’Europa, è chiaro che anche sul piano dell’interscambio nell’Ue alcuni paesi e alcune aree economiche ne hanno sofferto. Vendendo a mani basse prodotti ad alta tecnologia in Cina, la Germania ha acquistato dalla Cina prodotti a bassa tecnologia e alto input di lavoro che prima venivano acquistati in Europa.
Quindi Berlino sta continuando a danneggiare l’Europa con questo suo surplus?
Certamente se la Germania rientrasse nei limiti imposti, facendo investimenti interni, ne gioverebbero anche gli altri paesi europei. Il punto è che ci sono regole importanti, come quelle sul debito/Pil e il deficit/Pil, ma se non vengono rispettate da un Paese, al più danneggiano il Paese stesso, senza influire sugli altri. Nel caso della Germania, clamorosamente inadempiente su un altro parametro, a essere danneggiati sono stati e sono gli altri.
Professore, da questa situazione passata e attuale risultiamo danneggiati. Come pure rischiamo di esserlo dal futuro assetto europeo. Di chi è la colpa?
Devo dire che è chiara una mancanza colpevole della classe politica italiana. Mentre Germania e Francia sono di casa a Bruxelles, tanto da costruire l’asse franco-tedesco, noi non ci siamo. Ma non ci siamo non nel senso mediatico, è che non ci siamo ai tavoli che contano. Ci sono i nostri rappresentanti, alcuni sono anche bravi, ma non è una vera presenza forte che dovrebbe avere un Paese grande come l’Italia. Non ci siamo fisicamente nel quotidiano dei luoghi di decisione che contano. Per questa ragione queste politiche andranno avanti: semplicemente perché noi parliamo tanto di Europa e poi quando si tratta di esserci in Europa non ci siamo.
Non c’è dunque alcuna speranza?
Non so come andranno le nostre elezioni, ma se apparisse anche nel dibattito pre-elettorale la questione europea e Bruxelles non fosse vista da molti politici come il buen ritiro, se noi fossimo lì… Capisco che Berlino e Parigi sono più vicine alla capitale belga, ma a Bruxelles ci sei o non ci sei. Se si è irrilevanti, l’esito non può che essere questo. Dunque ci vorrebbe una presenza forte dell’Italia per dare un aiuto a portare avanti il claudicante progetto europeo.
(Lorenzo Torrisi)