Vi ricordate quei filmoni di molti anni fa, con effetti speciali spesso rudimentali e tanto rumore, del filone catastrofista-fantascientifico, come “King Kong vs Godzilla”? Ecco, l’annuncio di Alibaba di investire 13 miliardi di dollari nei prossimi tre anni sull’intelligenza artificiale fa pensare a quei film. King-Kong-Alibaba contro Godzilla-Google (o Godzilla-Amazon). Ben venga, si potrebbe chiosare: almeno uno dei due bestioni annienterà l’altro! Sì, a patto che – dopo – non annienti noi, come sta (stanno) già seriamente tentando di fare.
La notizia, però, è rilevantissima. E può essere letta ben diversamente. Alibaba ha già vinto, o meglio: avrebbe già vinto, se solo lo volesse. Pochi sanno che il colosso cinese dell’e-commerce fattura già oggi molto più di Amazon e Google. È figlio di un imprenditore geniale, ma anche di un sistema politico-economico sideralmente diverso da quello americano, dove sono nati e cresciuti i suoi rivali. Alibaba appartiene al fondatore Jack Ma, però è in realtà un colosso parapubblico, come del resto tutti i grandi gruppi capitalistici cinesi, che vivono come in una bolla di libertà vigilata, avendo a suo tempo negoziato, e quotidianamente vivendo, un diritto d’azione ampio ma limitato col Politburo di una dittatura militare sanguinaria qual è a tutti gli effetti – dall’alto delle sue migliaia di esecuzioni capitali all’anno, dato di Amnesty international – la Repubblica popolare cinese.
Però c’è nel modello Alibaba – globalista e pervasivo quanto e più di quelli di Google-Alphabet – qualcosa di più e di meglio. Un’occhiata negli uffici italiani del colosso basta a capirlo. Sui mega pannelli alle pareti, da un lato campeggiano i dati 2016, strabilianti (già lo scorso anno il business di Alibaba equivaleva a quello della ventesima più forte economia del pianeta) e dall’altro… gli obiettivi al 2036, cioè di qui a vent’anni, quando Alibaba conta di aver sviluppato tanto business da eguagliare da sola (!) la quinta più grande economia del pianeta, e di aver quadruplicato da 500 milioni a due miliardi i consumatori. L’idea stessa di fare pianificazione a vent’anni racconta quanto diverso sia il modello cinese da quello americano, che vive di budget e consuntivi trimestrali. Nella tradizione economica cinese, però – finora e nei settori tradizionali – l’espansionismo all’estero è stato relativamente assente. Continuerà così anche nel business digitale, anche con Alibaba?
C’è da scommettere di no, perché Jack Ma e la sua creatura sono già ubiquitari e pervasivi, hanno già per esempio centinaia di fornitori italiani e milioni di consumatori. Sono convenienti e sono forti. E ci sanno fare. Google e Amazon in Cina non toccano palla. Il motore di ricerca oggi monopolista nel mondo ha dovuto sottostare a una serie di vincoli che Pechino gli ha imposto, in barba a ogni correttezza politica, come condizione per poter operare in Cina. Inoltre, Alibaba oggi assomma al suo interno sia Amazon, perché fa e-commerce, sia Google perché fa ricerche, sia Youtube perché fa video. Ed è talmente forte che è andata a cercarsi i suoi partner in questo titanico sforzo di evoluzione informatica proprio (anche) negli Stati Uniti, a casa del nemico, individuandoli oltretutto nella prestigiosissima Università di Berkeley, in California.
L’anno scorso inoltre Alibaba ha speso circa 2 miliardi di dollari per comprarsi la maggioranza in Lazada.com, sito di shopping online di Singapore, creando un poderoso polo di e-commerce nel Sud-Est asiatico. E ora vuole arraffare uno dei leader mondiali del money-transfer: MoneyGram. Jack Ma andrà dove vorrà e dove lo lascerà correre Pechino. Un bene, perché chiunque taglia le unghie ai monopolisti americano va apprezzato; ma anche un male, forse maggiore del primo, perché Alibaba non sta colonizzando il mondo per fare beneficenza, ma solo per guadagnare di più.
La speranza è che lo scontro non conduca a una pace solo di facciata tra Alibaba e Google e non induca gli europei a una nuova ondata di intolleranza neo-razzista indirizzata magari stavolta contro i cinesi.