Su queste pagine è stato spesso ricordato il libro di Frank Vibert “Europe simple, Europe strong”. La guerra in corso tra le istituzioni europee sulle nuove regole per le sofferenze bancarie (i Non Performing Loans, Npl) scoppiata una decina di giorni fa è un chiaro esempio che un’Unione europea più semplice, con meno istituzioni, con meno satrapi e mandarini (o personaggi che si ritengono tali) funzionerebbe meglio. E, soprattutto, creerebbe meno confusione. A se stessa e agli altri. Il caso Npl è quindi per molti aspetti esemplare.



Ai primi di ottobre, il reparto della Banca centrale europea responsabile della vigilanza bancaria, ha inviato per consultazioni un “aggiornamento” delle regole per gli Npl. Il dispositivo prevede, in sintesi, che entro due anni per gli Npl non garantiti, ed entro 7 per quelli con garanzie (reali o personali), il 100% del valore del finanziamento va accantonato se questo a fronte, di un mancato pagamento delle rate per novanta giorni, si trasforma in credito problematico. Non è chiaro se le nuove regole si applicherebbe allo stock in essere o solo ai nuovi flussi.



È comunque evidente che queste regole, se varate e applicate, rappresenteranno un forte costo per le banche. Soprattutto per quelle italiane che di Npl ne hanno moltissimi nelle loro scritture contabili. Quindi, in Italia si è scatenato un vero e proprio furore anche perché spesso le “bozze per consultazioni” della Bce vengono varate tali e quali. Anche altri Paesi hanno protestato, non sempre alzando la voce tanto quanto l’Italia. Eppure, un documento del Fondo monetario internazionale pubblicato l’11 ottobre ha dato un bel dieci e lode al nostro Paese per essersi liberato di 65 miliardi di Npol (se Unicredit, Mps e alcuni piccoli istituti riusciranno a completare le vendite programmate entro la fine del 2017).



Torniamo, però, al bandolo della matassa. Non appena la Bce ha diramato l’aggiornamento per consultazione, si è fatta sentire la voce del Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani: “altolà, non si cambiano regole senza un passaggio in assemblea”. Passano alcuni giorni e si è udito alto e chiaro, il Vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis: con lettone precisione, nel presentare un documento sull’unione bancaria, ha ricordato che, in materia di regole, il diritto di iniziativa spetta alla Commissione e che la Bce si deve muovere “nell’ambito delle proprie competenze legali”. Conoscendo la lentocrazia che pervade le istituzioni europee, c’è ampio spazio per le “consultazioni” proposte nel documento Bce.

Andiamo adesso alla sostanza della materia. Gli Npl sono una piaga sia per gli istituti di credito che per i Paesi. Nell’Ue, in media sono pari al 5% del totale dei crediti concessi. Ma le variazioni, tra Paese e Paese, sono molto significative: in Italia (e in Irlanda)  sono circa il 10%, in Germania non sfiorano il 3%, in Francia si aggirano sul 4%, in Grecia superano il 45%. Se si vuole andare verso un’unione bancaria, che preveda anche garanzie solidali, occorre restringere la forbice. E soprattutto ridurre il peso degli Npl. Non è utile a nessuno mantenere come poste “attive” delle proprie scritture contabili crediti che si sa che non verranno mai rimborsati. Meglio fare una bella pulizia dei bilanci, anche se ciò comporta, in certi casi, un aumento di capitale. Ma la pulizia dei bilanci limita il potenziale dei finanziamenti degli istituti alle imprese. E questo è un altro bel problema nel momento in cui si tornano a vedere i barlumi di una ripresa.

Il documento Fmi citato – verrà discusso la settimana prossima dal Consiglio d’Amministrazione dell’istituto – sposa una linea analoga a quella proposta dalla Bce. Nel background di questa controversia ce n’è una più ampia: la successione a Mario Draghi alla guida della Bce. È noto che le sue politiche monetarie non convenzionali non piacciono a tutti. Pochi si aspettavano un saggio collettaneo come Did ECB Liquidity Injections Help the Real Economy? (“Le iniezioni di liquidità da parte della Bce  hanno aiutato l’economia reale?”). Ne sono autori Stine Louise Daetz della Banca Nazionale Danese e della Copenhagen Business School, Martin G. Subrahmayan della New York University, Dragon Yongkun Tang della University di Hong Kong e Sarah Qian Wang della University di Warwick. Ossia il fior fiore dei “giovani leoni” di quel ramo della finanza più sensibile ai temi dell’economia reale. Una lettura tecnica, ma molto illuminante. E molto dura sul Quantitative easing. Il lavoro documenta infatti che non ha avuto effetti di rilievo sulle imprese e, quindi, sull’economia reale. Se le imprese non hanno goduto della liquidità della Bce, ora rischiano, con la vicenda Npl, di vederne ancora meno.

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