La commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche apre i battenti domani in un clima prevedibile: poche attese di risultati istituzionali, molta contaminazione con la campagna elettorale già iniziata. E non sembra aver molto contribuito la lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera dal presidente della commissione, Pierferdinando Casini: costretto a difendersi di nuovo dai sospetti di conflitto d’interessi per le voci di candidatura al vertice della Fondazione Cassa Bologna, grande azionista di Intesa Sanpaolo. Poco convincente la risposta (le polemiche sarebbero “ridicole”, conoscendo “la natura delle Fondazioni”) e con un piccolo mistero: chi sono “i presidenti del Consiglio e l ministri dell’Economia” che – secondo Casini – sarebbero stati “soci” di Fondazioni bancarie? In ogni caso “non dipende da noi se la legislatura è alla fine” ha subito messo le mani avanti il presidente della commissione, che però ha subito approfittato dell’argomento per spiegare la prima di una serie di scelte già oggetto di parecchie discussioni. I lavori inizieranno a setacciare le crisi delle Popolari venete: le più recenti, certamente, ma anche quelle che non espongono politicamente il Pd. “Affronteremo il caso Etruria e ascolteremo il sottosegretario Maria Elena Boschi”, ha assicurato Casini, che tuttavia ha notato: “Se avessimo cominciato dal passato ci saremmo impantanati subito su se partire dal 2007, dal 2008 o dal 2012”. Cioè: dall’operazione Montepaschi Antonveneta, dal collasso di Wall Street o dall’inizio del calvario-austerity per l’intera Azienda-Italia.



Un’investigazione politica di alto livello non avrebbe comunque dovuto concentrarsi sulle situazioni-effetto, trascurando così gli eventi-causa più profondi ma in fondo non così lontanti. Ma i tempi strettissimi e le pressioni contrapposte hanno evidentemente giocato a favore dell’eliminazione dal tavolo dei temi più scottanti. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco sarà ascoltato, ha garantito Casini. Ma par di capire non con urgenza: evitando quindi accuratamente di indicarlo come “imputato numero uno”, nei giorni in cui sta invece maturando la sua riconferma in Via Nazionale, quindi anche alla guida della Vigilanza nazionale.



Mentre M5S ha presentato una lunghissima e provocatoria lista di “chiamati in causa”, i primi a essere auditi saranno il procuratore generale pressa la Cassazione, Luigi Orsi e il procuratore capo di Milano, Francesco Greco. Una scelta che un paio di riflessioni preliminari – anche se non pregiudiziali – le merita.

La prima: nessuno dei due si è occupato dei dissesti bancari del Nordest e neppure delle risoluzioni del 2015 o delle inchieste su Mps. Si sono invece occupati molto “del passato”: Greco fra l’altro del crack Parmalat (nel quale rivelarono un ruolo pesante più le banche estere di quelle italiane); Orsi del crack Cirio e poi del dissesto del gruppo Ligresti (che vide invischiati UniCredit e Mediobanca).



Una seconda curiosità nasce dalla decisione di ascoltare per prima la voce dei magistrati, peraltro di alti livello, proprio quando l’azione degli inquirenti ha registrato più di una reazione insoddisfatta o polemica sui vari campi: a Vicenza (dove la Procura dopo due anni non ha ancora affrontato il cuore del crack della Popolare), ad Arezzo (dove il procuratore è stato addirittura “processato” dal Csm a margine del dissesto Etruria) e a Siena dove si sono riaccesi i fari anche su come la procura ha indagato sull’oscura morte del capo della comunicazione Mps Davide Rossi.