Ieri il Parlamento ha approvato una mozione del Partito democratico sul rinnovo del mandato del governatore della banca d’Italia Visco. Nella mozione originale, prima che venisse ammorbidita, si parlava di una scelta, quella del rinnovo, “particolarmente delicata in considerazione del fatto che l’efficacia dell’azione di vigilanza della Banca d’Italia è stata, in questi ultimi anni, messa in dubbio dall’emergere di ripetute e rilevanti situazioni di crisi o di dissesto di banche, che a prescindere dalle ragioni che le hanno originate avrebbero potuto essere mitigate nei loro effetti da una più incisiva e tempestiva attività di prevenzione e gestione delle crisi bancarie”. Per questo si chiedeva una “figura più idonea a garantire nuova fiducia”.
La Banca d’Italia e il suo governatore in questi ultimi anni, secondo questa lettura, non sarebbero stati responsabili della crisi o del dissesto delle banche ma della sua gestione insufficiente. L’esplosione della crisi bancaria emersa dodici mesi fa con la vicenda di Banca Etruria e altre tre banche locali e poi proseguita con la popolare di Vicenza sarebbe di responsabilità della Banca d’Italia rea di non averla “mitigata”. Sembra abbastanza chiaro il tentativo di trovare un capro espiatorio, a sei mesi dalle elezioni, per una crisi che ha colpito normali risparmiatori e che è uscita dal mondo esotico dei mercati finanziari per colpire sottoscrittori di strumenti finanziari che fino a qualche anno fa erano ritenuti sicuri e che nel resto d’Europa lo sono sostanzialmente ancora.
Non si può però, in buona fede, nascondere in un inciso le ragioni di quella crisi rimandando a tempo indefinito un’analisi e nello stesso tempo indicare subito, ora, un unico, supposto, colpevole della sua coda più recente. Il risultato, a prescindere dalle intenzioni, è lo stesso di chi vuole offrire un capro espiatorio e consegnare all’oblio tutto il resto.
La crisi bancaria italiana è stata innanzitutto e per il sistema in quanto tale generata da due recessioni: la prima, quella del 2008, causata dal fallimento di Lehman e dal collasso dei mercati finanziari, la seconda dall’austerity imposta dall’Europa via governo Monti nel 2011. Nel 2008 sui principali quotidiani finanziari globali si poteva leggere della solidità delle banche italiane che a differenze di altre, americane e tedesche, avevano evitato prodotti finanziari esotici e mantenuto una strategia tradizionale di prestiti a imprese. Una politica sporca secondo molti “economisti” che consigliavano le stanze asettiche e “trasparenti” dei mercati: quelli per cui fino al giorno prima Lehman era una tripla A e il giorno dopo valeva zero.
C’è una sola grande operazione palesemente anomala in questa fase ed è l’acquisizione a prezzi esagerati di Antonveneta da parte di Monte Paschi. Il governatore in quel caso di chiamava Mario Draghi e oggi è a capo della Bce. Questo, a differenze delle quattro banche locali, è un problema sistemico per una mera ragione dimensionale. Qualsiasi altro episodio, pure esecrabile, di mala gestione bancaria non arriva neanche lontanamente a minacciare il sistema bancario italiano in quanto tale il cui governo, in circostanze normali, avrebbe modo e soldi per mettere una pezza.
Una crisi bancaria sistemica si risolve in un modo solo e cioè con i soldi dei contribuenti e l’intervento del governo. Non c’è altra soluzione come abbiamo imparato dalla risposta degli Stati Uniti nel 2008. L’Italia prima ha rifiutato un intervento di sistema sulle banche italiane, il primo ministro era Monti, quando si poteva per le regole europee, poi con il buco che si allargava per via dell’austerity non è riuscito a imporre all’Europa un salvataggio di sistema. Nessuno oggi sente parlare di Monte Paschi perché è stata delistata e statalizzata e scomparendo dall’orizzonte dei risparmiatori ha smesso di rovinarne l’umore e danneggiare l’economia. Le similitudini con i casi di Northern Rock, Royal Bank of Scotland o istituzioni americane sono evidenti. La crisi bancaria che prima del referendum pendeva sulla testa degli italiani che si apprestavano a votare è finita, guarda caso, in due settimane con l’intervento del governo. La questione era esattamente nei termini di un intervento di sistema, l’unico possibile con i soldi dei contribuenti e l’intervento del governo, che si poteva o non si poteva fare per via di un disaccordo tra Europa e Italia o per l’incapacità del governo italiano di produrlo all’interno del contesto europeo o ancora per l’incapacità del governo italiano di negoziare con l’Europa o perché c’erano altre priorità.
La Banca d’Italia difficilmente può avere responsabilità nella gestione di una crisi di sistema che può risolvere solo lo Stato. Può avere responsabilità nella prevenzione nella misura in cui ci siano casi di mala gestione. L’unico sistemico, in questo caso, sembra quello di Monte Paschi che ha una genesi e una maturazione particolare anche storicamente. Gli altri, non sistemici, appaiono comunque il risultato di una lunga gestazione.
In questo scenario la mozione di ieri, con la consegna di un capro espiatorio, rischia di avere due difetti: quello di chiudere i conti con la storia molto sommariamente senza il minimo giudizio rimandando a tempi indefiniti le analisi e quello di scagionare chi poteva veramente risolvere una crisi sistemica che non è stata generata in Italia e cioè, soprattutto, i “governi” dal 2011 in poi e cioè da quando la crisi globale del 2008, che già aveva avuto un impatto sistemico sulle banche, ha, solo in Italia, fatto un altro giro.